Adesso Renzi
gioca al rialzo

La denuncia di Matteo Renzi di un disegno teso a spaccare l’Italia sul tema del lavoro non sembra circoscritta ai sindacati. Il premier pensa piuttosto ad uno schieramento composito di tutta la sinistra radicale e di una parte almeno della minoranza dem e degli intellettuali ad essa vicini, pronto a saldarsi con la Cgil facendo leva sul disagio sociale di disoccupati e cassintegrati: lo si capisce da quella battuta («Se vogliono sostituirmi, ci provino») che apre di fatto la resa dei conti con i suoi avversari.

È come se il Rottamatore si fosse convinto che sul Jobs Act la sinistra del Pd ripeterà alla Camera il copione già visto al Senato: e perciò - secondo il suo stile - avesse deciso di rilanciare la posta. Secondo il segretario-premier, infatti, l’Italia ha di fronte «un’opportunità pazzesca» quella di invertire il ciclo in Europa: occasione che andrebbe perduta se la riforma del lavoro (e le altre connesse) scivolassero nelle sabbie mobili dei negoziati parlamentari.

Naturalmente ciò non significa che non ci siano margini per qualche correzione (sebbene gli alfaniani restino contrari): ma il dubbio è che i dissidenti possano non accontentarsi di piccole concessioni. Perciò Renzi preferisce chiarire che in tal caso ricorrerà nuovamente alla fiducia.

Un modo per contarsi: a Pippo Civati che pronostica in caso di scissione l’addio di un’area «grandina» il Rottamatore replica con un atteggiamento di disinteresse. Renzi conta sulla ribadita volontà di Pier Luigi Bersani di non lasciare in ogni caso il Pd e valuta come molto limitato il peso dei frondisti.

E’ chiaro che novembre sarà il mese decisivo: lo sciopero generale indetto dalla Fiom, e quello in gestazione della Cgil, dirà qual è la reale forza gravitazionale della protesta. Del resto la manovra economica continua a suscitare preoccupazioni: Bankitalia per esempio, pur promuovendola, avverte che le pensioni possono essere a rischio se il Tfr in busta paga non è solo una misura temporanea, e l’Istat fa sapere che la legge di stabilità avrà un effetto nullo sul Pil italiano dei prossimi due anni. In altre parole, le speranze di ripresa dipendono dallo scenario internazionale e dall’andamento del dollaro e ciò aiuta Forza Italia a ribadire la sua opposizione a provvedimenti giudicati inefficaci per la crescita. La battaglia a sinistra mette sotto tensione il Patto del Nazareno. Silvio Berlusconi ne ribadisce sempre la validità (un messaggio rivolto implicitamente alla fronda azzurra), ma se una parte della sinistra dovesse abbandonare Renzi le cose si complicherebbero per entrambi. Quando Mara Carfagna avanza per l’ennesima volta il sospetto che il Rottamatore voglia tornare alle urne in primavera, lo fa per esorcizzare lo scenario peggiore per il Cavaliere che verrebbe colto in mezzo al guado della ricostruzione del centrodestra.

In realtà Renzi non ha nessun interesse alle urne: rappresenterebbero il fallimento del suo disegno riformista che è l’unica cosa che interessa all’ Europa. Né varrebbe la giustificazione di essere stato bloccato dagli avversari interni perché è quanto hanno detto anche i suoi predecessori, a cominciare da Berlusconi, per spiegare le mancate riforme di stampo europeo.

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