Berlusconi non si dà per vinto. Ha perso una battaglia importante, ma non la guerra. La controffensiva muove dalla richiesta di mettere mano una volta per tutte a quella riforma della giustizia di cui si parla da anni. E allo stesso tempo dalla mossa ad effetto di Schifani e Brunetta di chiedere al presidente della Repubblica la grazia per il Cavaliere con in tasca le dimissioni di tutti i deputati e senatori, cioè la prospettiva di un Aventino parlamentare.
Il Quirinale si trasforma così nell’epicentro del sisma politico che molti volevano evitare: il centrodestra gli consegna le chiavi della legislatura, da un lato invocando una clemenza che potrebbe suonare anche come ammissione parziale di responsabilità e dall’altro minacciando l’apertura di una fase di contrapposizione totale con le altre forze politiche. Il Cavaliere inserisce la sua mossa nella cornice di quella riforma della giustizia auspicata dal capo dello Stato poco dopo la lettura del verdetto che ha condannato in via definitiva il capo del centrodestra per frode fiscale. Allo stesso tempo il leader del centrodestra pone sul piatto l’ipotesi di un ritorno a breve alle urne come unica alternativa alla strada che il Pdl ha individuato per provare ad uscire dall’angolo. Naturalmente si cammina sul filo del rasoio. Enrico Letta ha spiegato che ’’sarebbe un delitto’’ sfiduciare il governo proprio nel momento in cui la sua azione sta cominciano a dare i primi frutti. E si conosce la decisa contrarietà del Quirinale alle elezioni anticipate, soprattutto con questa legge elettorale. Ma è evidente che tutto può crollare da un momento all’altro se i protagonisti delle larghe intese sbagliano anche la più piccola mossa.
Le sciabolate che Guglielmo Epifani si scambia con i capigruppo del Pdl ne sono una dimostrazione: il segretario del Pd fa sapere agli alleati che gli attacchi alle istituzioni e alla magistratura sono intollerabili e si chiede se siano capaci di esprimere una nuova leadership o intendano farsi guidare ancora da un condannato. La replica è altrettanto dura, parla di provocazione e della tentazione di cercare lo scontro per staccare la spina a Letta. E’ perlomeno dubbio che in questo clima si possa pensare serenamente alla riforma della giustizia.
Della tensione ha approfittato con tempismo Beppe Grillo, minacciando la mobilitazione del suo elettorato se qualcuno dovesse pensare di aprire una trattativa sulla giustizia con il centrodestra. Ci sono tuttavia alcuni punti fermi che stanno paralizzando il confronto. Da un lato Berlusconi è l’unico titolare del consenso a destra e il consenso non lo puoi mettere fuorilegge; in altre parole il Pdl è acefalo e non ha al momento alternative ma la base resta compatta. Dall’altra il Pd ha fin troppi aspiranti capi e un segretario pro-tempore, in attesa del congresso. Dunque Napolitano e Letta hanno difficoltà nell’individuare gli interlocutori di un percorso che scongiuri la caduta dell’esecutivo. Un evento che si rivelerebbe certamente traumatico per le valutazioni degli organismi internazionali, quando invece lo spread è in discesa e ha incassato con una certa disinvoltura il verdetto di Roma.
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