Chiusi in casa c’è un’arma
antica: la pazienza

Vero è che la costrizione domestica può presentare più di un rischio. Ponendo più persone in una condizione di vicinanza obbligata per un tempo così lungo, cui non si era abituati, può capitare che ci si pestino i calli. E la reazione non può essere, per decreto, prendere la via della porta di casa e, sbattendola, uscire. È altresì vero che, all’inizio del tutto, certe disposizioni, come la sospensione dei matrimoni, disponevano a innocenti battute. Fosse capitato ai miei tempi…, e via di seguito. Senza, per decenza, sfiorare quella immediatamente successiva che riguardava i funerali. Non solo per decenza, credo. Forse perché, al pari dei matrimoni, si riteneva che anche le esequie avrebbero riguardato solo la normale, per quanto dolorosa, quota fisiologica, il saldo cui non si sfugge per le più varie ragioni.

Invece no. E adesso, quindi, cambia la prospettiva. La sconcertante vista delle lunghe file di feretri che attendono di essere tumulati, al pari delle barelle e delle ambulanze che attendono di poter collocare i malati trasportati, impone alle coscienze tutta una serie di considerazioni e sussurra, tra gli altri, un ulteriore consiglio: la pazienza. Pazientemente si attende, chi un posto al camposanto, chi un letto in ospedale. Non dovrebbe farlo chi, per il momento e ci si augura per sempre, non occupa né l’una né l’altra posizione ? Pazienza.

Da queste parti la si può agilmente praticare guardando il cielo privo di scie d’aerei, immagine che rimanda a un mondo non dico primitivo ma certo non così saturo di bisogni superflui. Non che le strade di città, deserte, siano da meno, offrendo a chi le guarda l’inodore silenzio in cui l’invito alla pazienza ugualmente si insinua, e sussurrato com’è nella sua natura. Ove venisse accolta, la pazienza ci rivela di essere un’arma, o arte, antica. Se arma, né chimica né biologica, per eccellenza invece umana e solo difensiva, cui milioni e milioni di esseri umani hanno fatto ricorso in ogni epoca per sopportare e superare avversità tra le più varie. E anche arte non solo esclusiva dei cosiddetti artisti, perché è grazie ad essa che i meccanismi evolutivi, di tappa in tappa, hanno compiuto l’opera che siamo noi. C’è un’unità di misura per la pazienza ? Non so, non credo. Ma, se ci fosse, direi che i numeri, benché infiniti, dovrebbero dare fondo alle proprie risorse per darcene una misura. E di fronte a ciò capiremo che il nostro esercizio di pazienza sarà ben poca cosa, un infinitesimale addendo, una goccia nel mare o, volendo stare in loco, nel lago. Quindi, se anche dovesse capitare di pestarci i calli stante la costrizione domestica, usiamo un poco di pazienza, mica li pestano solo a noi. Usiamo invece quell’istante che avremmo impiegato per reagire malamente a riflettere che se stiamo in casa ci sarà un perché, frase che potrebbe anche essere modulata sulle note di una vecchia canzone. E pure se ci siamo sposati e abbiamo messo su famiglia ci sarà stato, e c’è, un perché.

Pazientiamo, amici, pazientiamo !, altra concessione al vintage.

D’altra parte non siamo mica i primi che veniamo chiamati a darne prova. Si pensi tanto per dire a quello che ha sopportato Penelope prima di poter riabbracciare il suo Odisseo. Vent’anni! Dico, mica uno scherzo.

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