Como, apriamo gli occhi
sui nostri ragazzi

Qualche genitore non sa, più spesso però padri e madri volgono lo sguardo altrove, minimizzano, chiudono un occhio perché sì, in fondo, alzi la mano chi, ragazzino, non lo ha fatto almeno una volta. Altri ancora, per fortuna una minoranza, si spingono a considerare la sbronza una sorta di tappa naturale nella fase di passaggio dall’adolescenza all’età adulta.

Se il contesto è questo non sorprende che il problema dell’alcol tra i nostri ragazzi abbia preso negli ultimi anni una piega drammatica. Non c’è fine settimana, ormai, che al pronto soccorso degli ospedali non si presentino adolescenti in stato di intossicazione etilica. Ed è un allarme che ha lanciato, solo qualche settimana fa, un medico in prima linea come Alfredo Caminiti, primario di pediatria a Cantù. Al Teatro Sociale, presentando il progetto di prevenzione free4life – un percorso di rivolto ai ragazzi dagli 11 ai 14 anni finanziato dal Rotary e della Regione e realizzato dalla Cooperativa AttivaMente – ha raccontato di avere avuto la percezione precisa che il problema, di recente, ha assunto dimensioni rilevanti quanto mai avvenuto nel passato: «La scorsa estate – ha detto Caminiti - ho riscontrato un numero di accessi anomali al pronto soccorso di adolescenti in stato di ubriachezza. Ho pensato fosse dovuto all’inizio del periodo di vacanza. Ma i numeri sono rimasti alti anche in settembre e ottobre». Si comincia con la birra in pizzeria, poi il primo drink alla festicciola, non capita ovviamente a tutti ma per molti adolescenti è l’avvio di un percorso ad alto rischio. E i dati lo confermano

A Como (fonte Asl) l’88,4% dei giovani studenti ha già sperimentato l’uso di alcolici. Il 43,5% ha fatto uso per la prima volta tra i 13 e 14 anni. Il 18,8% tra gli 11 e i 12 anni. Il 10,9% prima dei 10 anni.

Di fronte a un tale emergenza c’è tanto da fare, ci sono anche, però, alcune cose da non tollerare più. I controlli sulla vendita degli alcolici ai minori sono troppo episodici, limitati alle situazioni eclatanti di abuso, quando sono necessari interventi sistematici. E se non ci sono leggi, a tutela dei giovani consumatori magari appena diciottenni, sarebbe il caso di mettere al bando, coinvolgendo le associazioni di categoria, l’odiosa pratica di alcuni locali che incentivano il consumo attraverso furbe politiche commerciali. Non si tratta di principi generici, lontani dalla nostra realtà. E occorre maggiore attenzione da parte di tutti. Non si ricordano grandi proteste, per esempio, quando, solo lo scorso anno, il Comune ha consentito che la scoutistica sui per l’ingresso alla mostra di Villa Olmo fosse associata al consumo dei cocktail. Forse, come si giustificò allora l’organizzatore, si tratta di una pratica diffusa. In ogni caso è un’abitudine sbagliata, anzi sciagurata perché al danno specifico aggiunge la confusione nella testa dei cittadini sensibilizzati sull’alcol da tante campagne della stessa amministrazione e poi destinatari di un messaggio che non solo minimizza la pericolosità della sostanza ma trasmette pure la falsa convinzione che bevendo ci sia una maggiore propensione alla socialità, una superiore facoltà di godere delle emozioni che può dare l’esperienza dell’arte.

Non si tratta di promuovere crociate contro le bevande alcoliche nel loro insieme che, va da sé, fanno parte della nostra cultura. Tutti però dobbiamo aprire gli occhi, i genitori in particolare. Se rinunciamo a intervenire ora, rischiamo domani di pagare un conto salatissimo con i nostri figli.

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