Eterologa: chi adotta
diventa penalizzato

Ci sono temi sui quali l’informazione sembra muoversi con il paraocchi. Quello della fecondazione assistita eterologa è certamente uno di questi. Com’è noto la sentenza della Corte costituzionale del 9 aprile scorso ha bocciato il divieto per l’eterologa previsto dalla legge 40, e da lì è partita una corsa per passare subito ai fatti. I media hanno tirato la volata e le Regioni hanno fissato le loro Linee guida con una rapidità del tutto inedita per un Paese che sperimenta quotidianamente la farraginosità di un’amministrazione pubblica lentissima nei suoi processi decisionali.

Quasi tutte le Regioni sono arrivate alla decisione di lasciare a carico del servizio sanitario l’eterologa, previo il pagamento di un ticket variabile da regione a regione. Solo la Lombardia si è sfilata, decidendo di lasciare invece a carico della coppia i costi (circa tremila euro). Ovviamente si può discutere della bontà o meno di questa eccezione lombarda, a patto di togliersi però quel paraocchi.

È chiaro che il percorso di chi deve ricorrere a questo mezzo estremo per cercare di avere un bambino è un percorso faticoso, perché passa attraverso tentativi falliti, e alla conseguente sofferenza, sulla strada più normale della «fecondazione omologa». Inoltre il dover ricorrere a un gamete esterno (seme maschile o ovulo che sia) è un fatto che comporta anche una fatica psicologica: non è facile accettare di mettere in «cantiere» un figlio che geneticamente non appartiene a uno dei due componenti della coppia. A leggere i media sembra invece che siano percorsi tutti in discesa, e che l’unico ostacolo sia quello frapposto da chi chiede più chiarezza e di aspettare che il Parlamento decida. Sono infatti tante e delicate le decisioni da prendere: bisogna stabilire se la fecondazione eterologa sia da inserire nei livelli essenziali di assistenza e quindi debba essere a carico della sanità pubblica; bisogna dare i criteri per strumenti essenziali come un registro dei donatori, per evitare il rischio di commercializzazione dei gameti. Un registro in cui venga previsto un limite di età per i donatori e anche per le madri.

C’è poi da considerare che la donazione non equivale alla donazione di un organo, e quindi comporta problematiche del tutto differenti. Come ha detto Paola Binetti, in questo caso «non dono ciò che ho, ma dono ciò che sono». Va quindi individuato il punto di equilibrio tra il diritto all’anonimato del donatore e la responsabilità verso quello che a tutti gli effetti è un suo figlio. Insomma, la questione è delicata e le modalità del tutto mercantili (basti vedere le tariffe medie delle prestazioni) con cui tanti Paesi di Europa hanno spianato la strada all’eterologa non possono essere certo indicate come un modello.

La questione dei costi sta quindi a valle del percorso. Oltretutto nel valutarli si devono tener presenti anche altri fattori collaterali. Ad esempio, come si può giustificare una discriminazione così palese tra una coppia che partendo dalla stessa impossibilità di avere figli propri, decide di fare il percorso dell’adozione e un’altra coppia che invece sceglie l’eterologa? Nel primo caso bisogna mettere nel conto costi superiori ai 15mila euro senza la minima speranza di una copertura; nel secondo caso si può contare invece, su quasi tutto il territorio nazionale, sul servizio sanitario pubblico. Insomma, c’è una disparità di cui in qualche modo bisognerà fornire una ragione, se non si vuole «spegnere» un’esperienza in cui l’Italia ha dato sempre lezioni di civilità a tutto il mondo (siamo il secondo Paese per numero di adozioni internazionali dopo gli Stati Uniti). Infine, in un momento in cui si parla di nuovo di tagli alla sanità, sarà bene chiedersi se non sia più giusto dare precedenza ad una copertura dei costi che le famiglie devono affrontare, ad esempio, per la psicoterapia o l’apparecchio ortodontico per i bambini. Sono decisioni da prendere con oculatezza e senso di giustizia. E ovviamente senza paraocchi ideologici.

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