Francesco e l’amicizia
che cambia gli uomini

Mille e mille immagini, volti che si accalcano, parole che scorrono interminabili. La giornata scorre veloce e indifferente nel salotto di casa, nel bar del paese e dentro le tante tv di un centro commerciale.

All’improvviso la monotonia dello schermo ultrapiatto viene interrotta da una scena sorprendente, imprevista e imprevedibile. Un uomo vestito di bianco entra nel carcere di Roma, viene festeggiato dalla folla, li saluta a uno a uno, poi indossa un grembiule, si china su dodici detenuti e lava loro i piedi. È papa Francesco.

Gesto potente e fortemente simbolico. Umano, troppo umano. Semplice che più non si può. Le Italie in diretta, i fatti vostri, i forum e i verdetti finali si rimpiccioliscono fin quasi a sparire. La superficialità e il cinismo della tv del dolore, del disonore e del vostro onore, si mostrano in tutta la loro disarmante inutilità. Annichiliti davanti al piegarsi di un Papa inginocchiato davanti agli ultimi degli ultimi per lavare i loro piedi.

La gente guarda. Smarrimento e sorpresa cedono presto lo spazio a una commozione autentica, a un’ammirazione sincera. Le voci si incrinano, l’emozione si esprime negli sguardi di volti che toccano la speranza. Potenza di un gesto che fa riesplodere nello spazio e nel tempo dopo duemila anni qualcosa di assolutamente speciale: «Avendo amato i suoi... li amò sino alla fine». Papa Francesco ce lo ricorda ogni giorno che Dio non smette mai di amarci e di perdonarci. «Io laverò oggi i piedi di dodici di voi - aveva detto il Papa - ma in questi fratelli e sorelle ci siete tutti voi, tutti, tutti, tutti quelli che abitano qui». Come è lontana la morale comune che vede nei carcerati quelli che in fondo se la sono cercata. Distante anni luce la mentalità di quelli che dicono «chiudeteli dentro e buttate via la chiave».

Il Papa si è inginocchiato davanti a dodici carcerati, alcuni immigrati di colore, e ha lavato i loro piedi. Incomprensibile per la gente comune, inaccettabile per molti, scandaloso per tanti.

La nostra meraviglia non è nuova. Già duemila anni fa i discepoli di Gesù si stupirono del suo gesto e Pietro, parlando per tutti, esclamò: «Tu, Signore, lavi i piedi a me?».

Rileggendolo si capisce quanto fosse rivoluzionario quel gesto. Rivederlo oggi ripetuto da Francesco ripropone tutta la sua carica emotiva. Per chi vuole è tutto scritto. È nella pagine immortali di Giovanni: «Si alzò da tavola, depose le sue vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse. Poi mise dell’acqua in una bacinella, e cominciò a lavare i piedi ai discepoli, e ad asciugarli...».

La spiegazione? Ce la fornisce l’Autore stesso del gesto: «Capite quello che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene perché lo sono. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi anche voi dovete lavare i piedi gli uni gli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io…».

Sarebbe bello se, superata la commozione della vista di quel gesto, ci si interrogasse ancora. Papa Francesco ha trattato i carcerati come amici. Risuona il ricordo di duemila anni fa: «Io non vi chiamo più servi,... ma vi ho chiamati amici». Un’amicizia che se sappiamo rinnovare cambia il mondo e gli uomini.

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