I corvi di Moody’s
e lo scatto di Renzi

Il giorno dopo la sfida di Renzi a Mario Draghi («non decide la Bce») ecco che si abbatte sull’Italia il giudizio di Moody’s, la seconda agenzia mondiale di valutazione finanziaria dopo Standard & Poor’s. Moody’s prende la palla al balzo dopo il dato Istat che ha messo l’Italia in recessione (meno 0,2 per cento di Pil) per assestarci una pagella di brutti voti e preconizzare un futuro molto fosco, rivedendo al rialzo le stime di deficit e debito.

L’Italia, secondo l’agenzia di rating americana, chiuderà il 2014 con un Pil in contrazione dello 0,1 per cento contro il più 0,5 per cento stimato in precedenza, e mancherà gli obiettivi governativi di deficit/Pil, con “rischi significativi” di sforare ulteriormente. Per non parlare delle lacune “strutturali” che difficilmente potrà colmare, poiché il Paese è in ritardo sulle riforme rispetto agli “Stati periferici” dell’area euro (leggi: Spagna e Grecia). Grazie anche alla debolezza del piano economico. Il piano di riforme annunciato da Renzi infatti è «ambizioso», ma «la lentezza dell’azione di riforma suggerisce che la popolarità del governo (che è stata dimostrata dall’esito delle elezioni europee) non si è ancora tradotta in uno slancio politico». Moody’s fa anche riferimento al piano abortito di spending review di Cottarelli.

Dunque la settimana “nera” dal punto di vista economico, per il premier prosegue. Proviamo a metter in fila gli eventi: prima la rampogna di Draghi, poi l’Istat con la revisione delle stime del Pil, successivamente la reazione di Renzi contro “la troika” e infine, come la banderilla di un torero, Moody’s. C’è chi dice che il peggio debba ancora venire.

In realtà, anche se a volte i loro giudizi si assomigliano, non bisogna distinguere gli organismi della “troika”, che sono tutti organi istituzionali (Bce, Commissione Ue, Fondo monetario internazionale), con le agenzie private di rating. Moody’s non fa eccezione, perché è pur sempre una società americana a capitale privato (il maggiore azionista è il magnate Warren Buffet) che parla agli investitori internazionali e si interessa più della situazione finanziaria di un Paese. Se Renzi ha potuto giustamente rivendicare l’autonomia di una delle principali potenze economiche mondiali rispetto alle tecnocrazie europee, a maggior ragione può farlo con Moody’s, anche perché la situazione debitoria (lo spread) per fortuna è stata risolta (con grandi sacrifici di pensionati e contribuenti). In realtà la vera trattativa in corso è quella con Bruxelles.

La caduta del Pil è stata una “botta” ma Renzi mira ad arginarne gli effetti, prima che la fiducia di famiglie e imprese ne risenta, con provvedimenti urgenti e riforme. Non c’è nemmeno tempo per aspettare l’autunno, bisogna agire subito. Il via libera alla riforma del Senato è solo un segnale che il Governo non si trova in una palude, ma serve ben altro. Bisogna ridisegnare il sistema fiscale, redistribuire le risorse, rendere più competitivo il Paese e riavviare il mercato del lavoro. È su questi punti che il premier gioca la sua partita europea, il suo stesso futuro. Non a caso Renzi ha annunciato che farà pochissime vacanze e ha programmato un tour economico ferragostano: ai cantieri Expo di Milano, a Napoli, a Palermo a Reggio Calabria. Sempre in perenne movimento, purché non finisca di girare a vuoto…

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