Il crimine è un virus
vietato ignorarlo

Gli spettri di questo bosco dell’Olgiatese non sono soltanto tronchi esili e storti, rami spogli allungati su tappeti di foglie secche e rughe di fango. Tra gli strati di aria gelida che ti si infilano sotto la pelle, fin dentro il cuore, c’è anche il sussurro di una vita evaporata troppo presto, per mano di gente dalla lama facile e dalle amicizie pericolose.

Negli ultimi sei anni hanno seminato morte e violenza e corpi proprio sull’uscio delle nostre case. A chi, ancora oggi, tende a banalizzare una cosa tragica come la ’ndrangheta sarebbe da raccomandare un giro tra gli spettri di questo bosco. Anche se, alla fine, non sarà contestata l’aggravante mafiosa agli assassini di Salvatore Deiana, è bene essere chiari: è da questa melma fatta di riti arcaici, minacce, omertà, traffici di droga, clan,’ndrine e locali che parte la lunga scia di sangue che percorre in lungo e in largo la nostra provincia. E guai a voltare la pagina svogliatamente, pensando che tanto la cosa non ci riguarda o - peggio - perché assuefatti da queste storie da Padrini in salsa brianzola. Le ossa di Salvatore Deiana riesumate dall’acume investigativo dei poliziotti della squadra mobile devono essere un monito per tutti: per i politici che, anche alle nostre latitudini, si sono rivolti in cerca di voti alla medesima melma che scopriamo, oggi, essere intrisa del sangue di esseri umani; per quegli imprenditori che ai “calabrotti” hanno chiesto un aiuto per sbarazzarsi della concorrenza o per recuperare un credito; per tutte quelle persone convinte che è solo un fatto di costume, una mangiata di carne di capretto e nulla più.

Dietro a questi morti ci sono assassini spietati, delinquenti convinti di poter disporre della vita e della morte degli altri e pronti a impugnare pistole e coltelli e poi vanghe per vendicarsi, uccidere, dare una lezione e far sparire tutto in una buca in qualche bosco. Basta guardare le loro storie per accorgersi della vicinanza con la ’ndrangheta: Rodolfo Locatelli, accusato dell’omicidio di Ernesto Albanese ucciso a Guanzate, è amico di Franco Virgato (accusato di ben due omicidi) che è amico di Luciano Nocera che scopri essere ben inserito in un giro di amici calabresi finiti in cella perché affiliati alla ’ndrangheta. Sono alberi genealogici criminali che affondano le radici nella nostra provincia fin dagli anni Settanta, ma della cui crescita non ci siamo curati o, semplicemente, abbiamo voluto ignorare la pericolosità. Gli spettri di questo bosco di Oltrona San Mamette, ora, ci aiutano a capire l’imperdonabile errore di sottovalutazione. E, con loro, i numeri delle inchieste dell’antimafia: 42 persone arrestate o condannate nel Comasco per associazione a delinquere di stampo mafioso; cinque locali di ’ndrangheta individuate a Erba, Canzo, Mariano Comense, Fino Mornasco e Appiano Gentile; centinaia di attentanti incendiari, colpi di proiettile, lettere minatorie; amianto e altri veleni riciclati e sepolti sotto i nostri letti. E, sullo sfondo, cinque omicidi, tra il 2008 a oggi. La ’ndrangheta è questa cosa qui: un virus mortale, l’antitesi di tutto ciò che è vita. Sono ossa sepolte tra gli spettri di un bosco.

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