Il mistero su Lady D
serve solo al suo mito

La “principessa del popolo” non trova pace. La ebbe poco, seppur tra gli agi di una corte, anche in vita. Ora però Lady D rischia di seguire il destino di altre star perseguitate per decenni dalle più improbabili ipotesi complottistiche dietro alla loro morte. Stavolta, tuttavia, a dare credito a un possibile omicidio dietro allo schianto la sera del 31 agosto del ’97 nel tunnel dell’Alma a Parigi, è addirittura Scotland Yard che ha ammesso di dare credito a nuove informazioni su quell’incidente e di aver disposto approfondimenti affidati ai suoi migliori specialisti.

Di cosa si tratta? Vi sarebbero delle rivelazioni di un ex soldato delle forze speciali britanniche il quale, a margine di un processo, avrebbe fatto sapere che un commilitone gli avrebbe confidato che ad uccidere la principessa Diana e Dodi Al Fayed sarebbe stato un commando proprio delle Sas. Il caso non è riaperto, ha fatto sapere la polizia ma tanto basta per riaprire quei dossier depotenziati e chiusi il 7 aprile 2008 quando la Royal Court of Justice sentenziò che fu omicidio, ma solo colposo. La Mercedes insomma sbandò e finì contro i pilastri del tunnel per sfuggire all’inseguimento dei paparazzi e nient’altro.

Le sentenze si rispettano, servono nel bene e nel male a mettere un punto finale nella giustizia umana. Tuttavia anche in osservatori imparziali e tutt’altro che avvezzi alla scandalismo, quel verdetto e la mole di indagini che lo precedettero, in Francia come in Gran Bretagna, non hanno convinto sino in fondo. Troppi furono i punti oscuri e tali sono rimasti in questi anni. Ad esempio la presenza di una Uno bianca (auto che torna, singolarmente, in tanti segreti mondiali) che avrebbe speronato la Mercedes, vettura la cui esistenza fu prima negata, poi ammessa, quindi assolta perché sarebbe stata di colore rosso in quanto, però, riverniciata rispetto al bianco originario.

Poi la presunta ubriachezza dell’autista Henry Paul, mai provata con certezza e tantomeno dalle provette con il sangue che vissero qualche movimento strano nei frigoriferi dov’erano conservate. E nelle quali, tra l’altro, compariva una abnorme e mai spiegata presenza di monossido di carbonio. E ancora la misteriosa morte di uno dei fotografi che inseguivano Diana, James Andanson, trovato morto carbonizzato nella sua auto il 5 maggio del 2000. Ufficialmente suicida ma con un paio di fori da proiettile nella testa e un’imbarazzante etichetta di “informatore” dell’MI6, il servizio segreto interno britannico.

Sedici anni dopo siamo ancora alle prese con tutti questi misteri, anzi ora con uno in più.

Resta il fatto che ai miti - e la principessa Diana lo è - quest’aura di non chiarito, di giallo, si attaglia alla perfezione, diventa esso stesso fattore di ulteriore consolidamento del personaggio nell’immaginario collettivo. Per questo, come per Marilyn Monroe o per Elvis Presley, ma anche per John Fitzgerald Kennedy , attorno alla fine di Lady D non finiranno mai le rivelazioni e i retroscena inediti, gli scoop e le indagini che, da giudiziarie, diventeranno storiche. Sebbene anche i sostenitori del complotto non sapranno mai spiegare fino in fondo perché Lady D poteva essere così “pericolosa” per la Casa reale da giustificarne perfino un’eliminazione eclatante.

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