Il mondo è cambiato
Anche in banca

Le prime a cadere sono state le mezze stagioni (che, come ben noto, “non ci sono più”), ma ora il crollo dei luoghi comuni comincia a diventare preoccupante, se addirittura la vittima illustre di questi giorni è il “posto fisso” in Banca. Già era finito il mito scioglilingua del posto alle Poste, mentre quello delle Ferrovie è ormai memoria lontana.

L’ABI, l’associazione dei banchieri presieduta oggi dal ravennate Antonio Patuelli, ha anticipato i tempi sulla scadenza contrattuale e ha mandato un segnale forte di discontinuità innanzitutto alle mamme e zie d’Italia, che tanto tenevano e tengono a piazzare il rampollo in Banca: buon stipendio, posto garantito, credibilità sociale.

Quest’ultima, in realtà, era già venuta meno e non per colpa dei bancari, ma se mai di certi banchieri internazionali, ma insomma, con i tempi che corrono, un primo impiego a 1400 euro, non era poi così male. Sta di fatto che i grandi numeri stanno diventando piccoli a colpi di 10% di tagli: 30 mila posti in meno rispetto al 2008 e quasi 20 mila prepensionamenti previsti, da aggiungere a circa 50 mila uscite “volontarie”.

E allora una riflessione si impone, con un intreccio di motivi molti diversi tra loro: sociologici, sindacali, tecnologici, economici. Le Banche italiane, strette tra il bastone pressante di Basilea e la carota drogata di Francoforte, sono tra i soggetti più esposti sul fronte della crisi. Le sofferenze aumentano e la loro capitalizzazione non basta mai. Politica e istituzioni le imbottiscono di titoli pubblici e anche quelle che sono state alla larga dalle tossicità in circolazione, stentano in Borsa, e lesinano credito a chi lo chiede. La cattiva moneta della sofferenza (+21%) scaccia la buona moneta di cui l’intero sistema avrebbe bisogno.

I bancari e i loro un tempo potenti sindacati, sono in mezzo a questa tempesta e vedono un mondo che cambia violentemente, addirittura mese per mese. Sempre più rare le code in Banca, perché il cliente è sempre più on line e fa il mestiere che prima si faceva dietro il vetro.

E’ difficile dar torto all’ABI quando chiede ai bancari una moderna cultura del lavoro. La professionalità bancaria deve cambiare: da un lato recuperare la capacità antica di guardare negli occhi il cliente, dall’altro più consulenza, più informatica, più visione strategica. Il segnale era arrivato chiarissimo già nel 2012 in occasione del contratto ora disdetto, quando per i nuovi assunti (anch’essi circa il 20% in meno), furono tagliati alcuni “privilegi” relativi ad indennità e previdenza che facevano l’invidia del mondo del lavoro, e quando l’orario settimanale era passato da 37,5 ore a 40. Un segnale che non era – e non è - solo sindacale, ma culturale e sociale.

Ora, il registro è severamente cambiato e ad essere “choosy”, come direbbe la Fornero, è la crisi, che non fa sconti. Senza peraltro esagerare, perché, se lo chiedete all’Istat, il posto fisso è ancora largamente dominante.

Comunque, c’è ancora un po’ di tempo (da spendere bene) perché il giovane che chiede un mutuo si senta rispondere da un bancario precario: «spiacente, non posso, perché non hai il posto fisso».

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