La nuova stagione
di Mani pulite

Lo scandalo di Venezia e l’arresto del sindaco della città lagunare segna l’ingresso del Paese in una nuova stagione di Mani Pulite. Sono trascorsi vent’anni e dai bassifondi della politica emerge di nuovo il tanfo della corruzione. Non episodica ma endemica.

Expo è vicenda recente ed ha costretto il governo a creare una figura giuridica nuova: il commissario anticorruzione. La vicenda Scaiola, ha evidenziato legami organici con esponenti della malavita organizzata. E stiamo parlando di un ex ministro dell’interno che cura gli interessi di un ricercato e provvede, si presume, ad assecondarne le ragioni.

Marcello dell’Utri scappa in Libano per sottrarsi all’esecuzione della pena divenuta nel frattempo definitiva. E anche qui abbiamo a che fare con un personaggio che con Berlusconi ha fondato Forza Italia nei primi anni novanta , lo ha organizzato come partito di governo e per anni ha tirato le fila del sottogoverno. La sentenza in Cassazione lo inchioda ora nel suo ruolo di intermediario tra la mafia e il potere politico. Ormai è chiaro che il potere delle organizzazioni criminali è tale da costringere qualsiasi politico a tenerne conto.

Il sindaco di Venezia, il democratico Orsoni, ha finanziato l’ultima campagna elettorale con i soldi ricavati dalle tangenti per la costruzione del Mose, la gigantesca opera idraulica che dovrebbe proteggere la Serenissima dalle maree. Ora il bubbone sta venendo allo scoperto e la magistratura è chiamata ancora una volta a supplire al mancato controllo della politica. Insomma è tradizione che la cosa pubblica in Italia abbia sempre un risvolto privatistico. Le imprese creano fondi neri, perché sanno che sono indispensabili per “ungere le ruote”. Costi extra che poi compenserà in corso d’opera. Il sistema diventa insostenibile quando si entra in crisi finanziaria. Fu così con la minaccia del default nel 1992, la conseguente svalutazione della lira ed il prelievo forzoso di trentamila miliardi del governo Amato .

Ora si ripete lo stesso fenomeno sotto la sferza dell’austerità. L’opinione pubblica si indigna e chiede un colpevole che di norma è il politico. Un modo come un altro per scaricarsi delle proprie responsabilità. Questa è una democrazia e la classe politica non è nominata ma eletta . Una differenza che in Italia a volte sfugge ma che all’estero è ben presente quando si tratta di relegare nella classifica di Transparency International il paese ai livelli dell’Africa postcoloniale. La ricerca dell’uomo nuovo cui affidarsi è la conseguenza .

La differenza rispetto a vent’anni fa è che questa volta il viso acqua e sapone della politica italiana non ha aziende personali da esibire e da difendere. Nasce all’interno di un partito che è radicato nel Paese e non risponde a logiche aziendali. Il partito della protesta per la protesta è relegato ai margini con numeri consistenti ma non determinanti. Insomma la magistratura fa la magistratura senza che il governo cada in affanno. L’esecutivo non ha scheletri negli armadi non foss’altro perché troppo giovane per poterne avere. Morale : fare pulizia è possibile a due condizioni: che il governo mantenga la sua autorevolezza e la disciplina di bilancio costringa tutti a rigare dritto.

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