La scuola italiana
è soltanto apparato

L’ anno scolastico 2013/14 incomincia, dal punto di vista dell’apparato amministrativo il 2 settembre e, dal punto di vista educativo e didattico, il 12 settembre.

Oggi parliamo della scuola-apparato, cioè del governo amministrativo dall’alto e dell’infrastruttura amministrativa dal basso di un universo che conta quasi otto milioni di alunni, un milione di insegnanti, quattro/cinque milioni di famiglie: la più grande fabbrica dell’intelligenza del Paese. I segnali di una crescente inefficienza di questo apparato amministrativo si sono accumulati in questi ultimi anni: dispersione annua di circa 200 mila ragazzi, il Centro-Sud in coda alle classifiche mondiali Ocse-Pisa, sottoproduzione di circa 200 mila insegnanti precari; incapacità di reclutare regolarmente i dirigenti (quasi la metà delle 1500 scuole statali lombarde quest’anno dovrà ricorrere alle reggenze) e i nuovi docenti. L’età media dei docenti è di 52 anni, quella dei dirigenti arriva ai 60 anni.

Da decenni l’Amministrazione lo s/governa a mezzo di sanatorie, che sottoproducono ricorsi, che sottoproducono nuove sanatorie. Fino agli anni ‘60/’70 del ‘900 la scuola francese era stata nobilmente elevata da L. Althusser, marxista radicale, a “apparato ideologico di Stato”. Quella italiana di ideologico non ha ormai più nulla: è solo apparato e basta.

Luigi Berlinguer ha provato a smantellare il modello centralistico ormai obsoleto. Le scuole dovevano cessare di essere pezzi dell’amministrazione statale decentrati e diventare espressione della società civile sul territorio, centri di cultura e di sperimentazione educativa, di libertà dei percorsi. Lo Stato doveva stabilire la tavola delle competenze-chiave, i traguardi da raggiungere e, ovviamente, valutare i risultati delle scuole.

Le singole scuole erano libere di definire e di personalizzare gli itinerari dei ragazzi. Una potente lobby centralistica, fatta di partiti, sindacati, apparato amministrativo si è subito opposta, finora vittoriosamente, con due argomenti abusivi: solo un’amministrazione centralizzata può garantire l’eguaglianza delle opportunità per tutti i ragazzi e può sostenere le singole scuole. In realtà, il sistema ipercentralizzato ottocentesco ha prodotto disuguaglianze clamorose di accesso e di risultati e uguaglianza nell’ignoranza. L’amministrazione non vuole, ovviamente, essere smantellata; i sindacati sono largamente cogestori pervasivi di questo apparato, fino ai suoi livelli più alti.

Dietro gli interessi corporativi e la pigrizia riformista dei partiti, sta tuttavia un grumo ideologico consistente: quello dello statalismo, nella duplice forma del centralismo amministrativo e della riduzione della dimensione pubblica a quella statale. Donde la conseguenza che le scuole paritarie, che in Lombardia sono circa 1500, sono riconosciute come pubbliche, ma finanziate con i fichi secchi e solo di anno in anno. Restano a una scuola che voglia praticare l’autonomia, prevista dalla legge, solo due strade, che si possono denominare provocatoriamente: “anarchia” e “clandestinità”. Anarchia: procedere a sperimentare forme di autonomia didattica, organizzativa e finanziaria. Clandestinità: muoversi nel silenzio, per sfuggire agli attacchi che possono provenire dall’oscurità impenetrabile della giungla normativa.

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