La storia si ripete
e a Como porta bene

La storia si ripete
e a Como fa bene

Nel lungo dibattito sulla scelta di estendere l’area pedonale del centro storico oltre i confini della città murata, meritano una citazione almeno due persone che hanno legato la loro vita alla città, sia pure per ragioni e con ruoli diversissimi.

Il primo, che purtroppo non c’è più, si chiamava Fulvio, ed era il proprietario del bar Moderno di viale Lecco, luogo di epiche disfide a stecca preferite alle lezioni di greco del lunedì mattina. Quando c’era bel tempo dava un’occhiata al suo viale, osservava il traffico verso piazza del Popolo poi, brontolando un po’, sentenziava: «Fosse per me chiuderei tutto. Altro che Girone. Solo pedoni e biciclette, da San Bartolomeo a Sant’Agostino fino a piazza Santa Teresa». Il secondo a meritare una citazione è ovviamente Antonio Spallino, sindaco - come sanno anche i muri - dal 1970 al 1985, nonché fautore di una rivoluzione ben più epocale di quella perseguita dall’attuale giunta (della quale, per uno di quegli strani arzigogoli del destino, fa peraltro parte anche suo figlio Lorenzo, assessore).

A Spallino, e a chi guidò con lui la città tra gli anni Sessanta e Settanta, si deve la pedonalizzazione del centro storico, la creazione di quell’isola che è oggi il cuore pulsante della vita del capoluogo.

Ecco cosa diceva Spallino a La Provincia in un’intervista pubblicata il 24 ottobre del 2002, ricordando l’epopea di quegli anni e, in particolare, il provvedimento di salvaguardia del centro che il consiglio comunale approvò due mesi prima delle elezioni del 1970 tra gli ululati generali: «Eravamo giunti a calcolare che nella città murata transitavano circa 15mila auto al giorno, molte delle quali non avevano né origine né destinazione all’interno dell’area. La conclusione fu quasi scontata: dovevamo assicurare il rispetto visivo, sonoro e sociale della vita negli antichi contesti edilizi, quella che oggi si direbbe la qualità della vita. Era per un verso necessario promuovere il processo di restauro degli spazi pubblici e privati, il rinnovo dell’arredo urbano; per altro verso, le indagini condotte sulla città di Siena e su alcune città inglesi, comportavano una scelta. In una parola dovevamo pedonalizzare, cercando al contempo di potenziare il trasporto pubblico attorno alle mura. Questa fase successiva venne gestita principalmente dall’assessore Mino Noseda. Fu costituita la Spt (oggi Asf, ndr) e furono ristrutturate le linee, mettendo gli autobus nelle condizioni di poter circolare quanto più vicino alla città murata, e furono aperti diversi parcheggi di supporto».

Naturalmente l’operazione fu tutt’altro che indolore. La foto pubblicata qui sopra, dell’archivio storico di Enzo Pifferi, documenta una protesta di automobilisti in piazza San Fedele,contrari alla pedonalizzazione, fine anni Sessanta. Como fu una delle prime città in Italia a optare per una scelta del genere. I negozianti scesero in piazza, convinti che per le loro attività si sarebbe trattato di un’ecatombe, e con loro si mossero i residenti, pronti a scommettere che via Vittorio Emanuele e le sue “nobili” sorelle sarebbero decadute in pochi mesi. Certo, erano altri tempi. L’Italia galoppava, il “grano” girava, fumavano i camini della Ticosa e l’economia prosperava. Ma i presagi, foschi, erano gli stessi di oggi.

Non tutto andò per il meglio: il traffico sul Girone è cresciuto e la qualità del trasporto pubblico non è forse quella che sognavano Noseda e Spallino, ma nel complesso è davvero impossibile lamentarsi. La storia della Como moderna cambiò allora, e a volte, ci insegnano i manuali, la storia si ripete. Bastano un po’ di ottimismo, la voglia di osare e al limite - se proprio non dovesse funzionare -, il coraggio di tornare indietro.

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