La Svizzera e l’expo
Le sfide vinte insieme

Severa e piacevole, la Svizzera si porta a casa un successo personale da Expo. Perché ha costretto tutti - bambini in testa - a vedere, prima che a pensare, cosa accade quando si consuma troppo. Quando si prende ciò che non ci serve realmente, spinti da ingordigia o dall’atavica paura di rimanere sprovvisti di un bene.

Una vittoria che è elvetica, e non solo.

Anche perché l’avventura all’Esposizione universale è stata tutt’altro che in discesa.

È vero la Confederazione ha aderito per prima, firmando il contratto di partecipazione nel 2011. Ed è stata rapidissima anche nel presentare ufficialmente il progetto: quando fu posata la prima pietra, possiamo confessare che si percepì un sospiro di sollievo generale di fronte alla certezza dei costruttori. Se loro dicono che porteranno a termine tutto in tempo, allora accadrà e c’è da sperare che così faranno tutti.

Lo scetticismo regnava, ad esempio in Ticino: non a caso, un referendum ha bocciato i finanziamenti pubblici alla partecipazione milanese. E determinanti sono stati gli sponsor per portare avanti questa operazione.

Mentre si sta chiudendo la manifestazione mondiale, la Svizzera può andare fiera appunto di essere tra i padiglioni che hanno raccolto i maggiori consensi. L’ha fatto perché ha incarnato un messaggio forte, perché ha saputo anche giocare e intrattenere. Perché ha mostrato la sua identità con forza e allo stesso tempo ha rivelato il suo volto più solidale.

A questo successo hanno lavorato in tanti e il contributo italiano, nel suo piccolo, è stato determinante. Dai lavori fino allo staff: quest’ultimo ha la sua percentuale extrasvizzera, che può apparire scarna, il 15%, ma c’è stata. Ricordiamo oltretutto che la selezione è avvenuta pure sulla base della dimestichezza con le lingue, e in questo non sempre siamo in grado di competere: è anzi un invito a migliorarsi, sempre.

In ogni caso gli italiani ci sono stati e ci sono. E questa presenza ricorda che le sfide si vincono meglio, insieme.

Un promemoria duplice, quindi, quello di Expo. Partendo dal pilastro della lezione svizzera sull’uso delle risorse per arrivare alla solidarietà, alla voglia di aprire, e non di chiudere. Come racconta poi il massiccio del San Gottardo, ricreato così abilmente nel padiglione: può servire a rafforzare confini, può diventare uno strumento fondamentale di comunicazione e di nutrimento. Da barriera a occasione, forse è uno dei messaggi più belli della natura che incontra l’uomo.

E significativo sarà l’incontro finale di Expo, il 30 ottobre. Da abbonati alla puntualità, gli svizzeri faranno il bilancio della presenza a Rho il giorno prima. Non lo tracceranno da soli, ma è stato invitato il ministro Gentiloni a partecipare a questo momento di riflessione.

La Svizzera esce a testa alta da Expo, perché non ci è entrata da sola, o meglio non si è chiusa. Un monito, un auspicio anche per il futuro. L’ha decretato da un pezzo l’economia dei due Paesi: l’uno senza l’altro, non può stare. Lo sentenzia l’intenso scambio commerciale, come pure la filiera che si integra, su più fronti, tessile in testa. Un legame che passa dai frontalieri: lo chiede il mercato, ma anche il buonsenso. Osteggiando un legame naturale, si diventa solo più fragili.

© RIPRODUZIONE RISERVATA