Le feste tempo
d’attesa e di luce

Il periodo tra Natale e Capodanno é sempre un ritorno a sé. I ritmi compulsivi si allentano, devi tornare a fare i conti con te stesso. Perciò le Feste presentano un lato luminoso e un lato d’ombra. Dall’ombra emergono inquietudini, rimpianti, speranze e disperazioni, affetti e solitudini. Ciò che vi era di rimandato, di irrisolto, di incompleto appare senza veli e ti fissa muto.

Nel vissuto collettivo - dei credenti e anche dei non credenti – questo è il periodo della ripartenza della storia del mondo. Questo vissuto preme socialmente sul singolo. Di qui la contraddizione, spesso
esplosiva, tra la coscienza
collettiva e quella dell’individuo. La cronaca segnala sempre, ogni anno, i casi di persone che non reggono il trauma del conflitto tra l’immagine sociale del nuovo inizio della storia del mondo e l’inerzia pesante della propria biografia. Non ce la fanno più a ripartire. Altri bypassano la contraddizione fuggendo verso altri orizzonti e terre lontane. Quando torneranno, lo scenario sarà di nuovo quello quotidiano, già placato, già al riparo dalle domande fondamentali. Ma Orazio osservava in una sua “Epistula”: “coelum, non animum mutant, qui trans mare currunt” – quelli che attraversano il mare, mutano il cielo, non l’anima-. Perciò, è forse più opportuno fermarsi e lanciare uno sguardo profondo nell’ombra.

Che cosa appare ai nostri occhi? La nostra radicale, intrascendibile, assoluta finitudine. Questo è ciò che si vede dietro le inquietudini, i desideri, le speranze delle Feste. A questa percezione si è venuta sovrapponendo, in questi anni, quella della contingenza radicale del mondo, inteso come natura e come storia. Mai il pianeta è apparso così precario, affidato alle mani fragili e folli degli uomini. La fuga verso gli orizzonti della globalizzazione ci riporta perciò immediatamente, per quanto lontano possiamo andare, verso la nostra mancanza di un fondamento. Perciò, scruteremo l’oscurità e ci metteremo in ascolto. Esistono molte reazioni possibili all’eco che arriva di lì. La prima è quella della fuga quotidiana. E’ la più semplice, la più praticata, la meno inquieta. Ma si paga un prezzo molto alto: si finisce per “vivere la vita degli altri”, non la propria.

Oggi, al messianismo religioso è subentrato quello laico. Esso punta sul superamento della finitezza della vita mediante la scienza, le bio-tecnologie, la politica del corpo. Di questo messianismo fa parte l’illusione del Regno di Dio in terra, dei “cieli nuovi e terra nuova”. Genera la volontà di potenza, la volontà di volontà. Dentro sta la ribellione contro il destino umano della finitudine e la domanda di “un per sempre”. Desiderio di Dio o desiderio di essere come Dio? San Paolo indica un’altra strada: quella del “kairos”, che proviene dalla cultura greca. Nella filosofia greca il “kairos” è l’occasione particolare, il momento opportuno, mentre il “cronos” è il tempo seriale e misurabile. In Paolo ogni attimo è denso, “è carico di grazia”.

E’ il tempo dell’attesa della “parusia”. Si tratta di un messianismo sobrio, che punta tutto sulle possibilità del tempo presente e sulla nostra responsabilità. Siamo al riparo dalla finitudine inquieta di Sant’Agostino nelle Confessioni? No. Semplicemente Paolo ci invita ad assumerla come il nostro destino. E le Feste ci mostreranno il lato di luce.

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