L’emergenza riporta
al centro la famiglia

Strano destino quello delle famiglie italiane. In questo 2020 che sta per concludersi sono state un presidio sociale; si sono fatte carico di tante funzioni che altre istituzioni o servizi non hanno potuto garantire: figli a casa a studiare, persone non autosufficienti senza più supporti esterni, condivisione di spazi per il lavoro.

Le abitazioni in tutti questi mesi sono diventate molto più che dei rifugi; sono state luoghi nevralgici della vita collettiva, anche dal punto di vista della produzione economica, oltre che delle relazioni umane.

Eppure nonostante la portata straordinariamente importante e anche positiva di questa nuova esperienza, la sensazione è che la famiglia sia nei fatti un soggetto marginale, con tanto passato e poco futuro.

Lo dimostra anche la ricerca periodica sull’andamento degli interessi degli italiani in rete (Ricerca dell’Osservatorio SevenData-ShinyStat). Dai dati emerge un calo vistoso della progettazione di nuove famiglie, in particolare con un progressivo disimpegno rispetto al metter in agenda il matrimonio.

È una tendenza spiegabile con il fatto che la pandemia ha reso impossibile il vivere il matrimonio come una festa e quindi ha probabilmente spinto tanti a rinviare l’appuntamento a tempi migliori. Purtroppo però è una tendenza circoscritta che si innesta su una tendenza ben più consolidata di calo complessivo dei matrimoni che si registra ormai da anni e che fa dell’Italia, specie l’Italia delle grandi città, un Paese di single.

Le statistiche però non devono essere recepite come fatti ineluttabili: a volte si osservano i numeri e se ne resta quasi soggiogati, come se quei numeri invece che fotografare semplicemente una situazione suonassero come una sentenza in proiezione senza appello. Se invece si prova a scavare più nel profondo, può accadere che si intercettino segnali che vanno oltre l’inesorabilità dei numeri. Sono indizi che naturalmente andrebbero documentati con una narrazione capace di guardare in prospettiva. Indizi che devono diventare ipotesi di lavoro e di indagine. Ad esempio, ci si dovrebbe chiedere se questa centralità “fisica” della famiglia sperimentata nei lunghi mesi della pandemia sia destinata a scemare una volta tornati ad una normalità.

O se invece, come molti indizi suggeriscono, in questo 2020 nelle famiglie si sia fatta largo un’autoconsapevolezza del proprio ruolo, una coscienza della propria centralità nell’organizzazione sociale. Il mondo del lavoro, il mondo della scuola hanno dovuto misurarsi con questo soggetto che fino ad ora era stato lasciato fuori dalla porta. Viceversa lavoro e scuola hanno spinto le famiglie a trasformarsi in inediti laboratori, quasi dei coworking domestici, accelerando una trasformazione che è difficile pensare non lasci un segno sul prossimo futuro. Nel loro piccolo e spesso con pochi mezzi, le famiglie si sono dotate di un’infrastruttura tecnologica diffusa; soprattutto hanno visto crescere l’intensità delle relazioni reciproche, in ragione della convivenza forzata di genitori attivi e di figli studenti.

Certamente i dati oggi indicano una ritrosia a progettare il futuro, anche sotto il profilo professionale. Rivelano ad esempio una paura, dettata dall’esperienza di pesante incertezza vissuta in questo 2020. Ma la sensazione è che dietro questa stasi si nasconda forse anche altro: una dinamica di riassetto, un ripensamento in avanti, una convinzione nuova dell’essere famiglia. Il dopo Covid, che sarà necessariamente diverso dal prima, può essere che ci riservi sorprese come queste, che ora sfuggono ai numeri. Di sicuro è il migliore auspicio per l’anno appena iniziato.

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