Nazareno: il patto
non è mai morto

Nei giorni scorsi la stampa italiana ha dedicato ampio spazio alla fine del “patto del Nazareno” che è stata celebrata come l’ennesima dimostrazione della sagacia politica del premier. In realtà, risulta poco convincente la tesi della definitiva rottura che si sarebbe consumata tra Renzi e Berlusconi il quale, secondo le cronache, si sentirebbe tuttora gabbato dall’elezione di Mattarella.

La verità è che siamo davanti ad una vicenda alquanto complessa: focalizzarne i molteplici risvolti, consentirebbe di capire se si tratta di un colossale bluff (una “renzata”)

oppure di un’autentica svolta strategica. Restiamo ai fatti. Malgrado Mattarella non fosse, ufficialmente, un candidato gradito alla destra, risulta innegabile che il Cavaliere si sia premurosamente adoperato per garantire al premier un pacchetto di voti (i “70 franchi soccorritori”, come li ha definiti il Corriere della Sera) che servivano a preservarlo da eventuali defezioni interne al Pd. Piaccia o no, i fatti dicono che Berlusconi ha tutelato il premier dalle innumerevoli incognite che avrebbero potuto indebolirlo nel Parlamento e nel suo stesso partito. A parte questo, gli assertori della presunta rottura del patto del Nazareno non hanno ancora spiegato i motivi per i quali Berlusconi dovrebbe avere interesse a rilanciare la destra ritrovandosi accanto quegli stessi “valentuomini” che lo hanno tradito senza mercé. Da Alfano a Fitto, per tacere di Lupi, Formigoni e Schifani, sono numerosi i vecchi famigli di Berlusconi che pretendono a gran voce l’azzeramento dei vertici del partito che, fuor di metafora, significa solo una cosa: cioè, dare il benservito al Cavaliere. Definitivamente archiviata l’epoca delle grandi convention che ne celebravano la grandezza, il Cavaliere scopre, oggi, di essere diventato un peso troppo ingombrante per la destra.

La scelta di Berlusconi di investire su Renzi, pertanto, non è nata per caso. Il ruolo giocato in questa alleanza da un personaggio indecifrabile, talora inquietante, come Denis Verdini, induce a credere che si tratti, in realtà, di una scelta irreversibile. Se così non fosse, davanti alla irresistibile ascesa di Matteo Renzi, da tempo Berlusconi avrebbe lanciato nella mischia un successore vero, prestigioso e autorevole, da opporre credibilmente a Renzi (altro che Toti!). Così non è stato. Pertanto, al di là delle fole narrate in questi giorni, bisogna ammettere che l’elezione di Mattarella ha decretato non già la rottura tra Renzi e Berlusconi ma quella tra il Cavaliere e la destra la quale ha dovuto prendere atto che il patto del Nazareno è un percorso strategico che viene da lontano, un opaco disegno sul quale sarebbe utile fare chiarezza una volta per tutte. In questo senso, non sono sufficienti le schermaglie degli ultimi giorni sul falso in bilancio per accreditare la tesi della rottura. Fa davvero specie che esista una larga parte della stampa di sinistra che, sempre occhiuta e spietata con il Cavaliere, oggi eviti accuratamente di chiedersi, ad esempio, chi e cosa, esattamente, abbiano spinto Renzi ad accelerare la sua discesa in campo (due giorni lo “stai sereno” rivolto a Letta), da quali ambienti nasca quell’appoggio che lo rende così spregiudicato e, soprattutto, così temibile. In caso contrario, l’ombra di quel patto graverà per sempre non solo sul premier ma anche sulle sorti del Paese e della nostra fragile democrazia.

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