Scuola, la campana
non suona per tutti

Siamo ormai a un passo dalla riapertura scolastica (i primi saranno quelli di Bolzano, giovedì 5 settembre, il 12 tocca alla Lombardia), ma la campanella non suonerà per tutti. Il Miur, acronimo del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ha infatti deciso di rinunciare ad assumere duemila professori vincitori dell’ultimo concorso a cattedra.

Questi giovani docenti dovranno attendere il prossimo anno, rischiando i decadere insieme alla graduatoria e finire come in un frullatore nel nuovo meccanismo di selezione prossimo venturo. Entro due anni, massimo tre, la graduatoria dei vincitori infatti decadrà, contemporaneamente alla pubblicazione di una nuova lista, composta anche dai vincitori del concorso successivo. E tutto questo nonostante questi giovani laureati desiderosi di entrare nel mondo della scuola abbiano superato una durissima prova del “concorsone”, che prevede tre verifiche scritte e due colloqui orali. Per loro niente ruolo. Sono ormai decenni che la scuola italiana non assolve più a quel compito di ammortizzatore della disoccupazione intellettuale di cui veniva accusata negli anni Settanta e Ottanta. Questo è naturalmente un bene, per molti aspetti, ma siamo passati all’opposto. La cattedra ormai è quasi un sogno per i più giovani. Anche i più preparati come quelli di cui stiamo parlando.

E’ la crisi bellezza, si dirà. Il gioco al ribasso condotto dal ministeri dell’Istruzione (dietro il quale si celavano le direttive del ministero dell’Economia, ovvero la “spending review”)) aveva già portato a drastici tagli con la concessione di poco più di 11.200 immissioni in ruolo per il 2013. La metà di quelle previste dal decreto interministeriale del 3 agosto 2011 (che già era stato considerato da molti draconiano). Di questi 11 mila fortunati, 7.351 dovevano entrare il 1 settembre prossimo, i rimanenti all’inizio del 2014. Ma il ministero ha deciso di spostare duemila cattedre di là da venire, in linea con la strategia di questo governo che continua a spingere più in là (spesso per via dei veti incrociati delle due maggioranze uguali e contrarie che lo sostengono) molti provvedimenti e gran parte delle riforme necessarie a uscire dallo stallo in cui versa il Paese.

Ancora una volta la scuola italiana è vittima della discrepanza tra i posti messi a concorso e quelli che effettivamente vengono assegnati ai ruoli. Cattedre che prima vengono preventivate sulla carta e poi, improvvisamente, vengono fatte sparire. In pratica viene bandito un concorso (difficilissimo, cui hanno partecipato 200 mila laureati) ma vengono lasciati i vincitori per strada.

Questa situazione, questo “vulnus” che finisce col penalizzare la qualità della scuola, le sue forze più giovani e vitali, non riguarda solo le cattedre, ma anche il personale Ata, che significa efficienza, modernizzazione della scuola, organizzazione, segreterie più funzionali. Nel già citato decreto del 3 agosto 2011 era stata stabilita l’assunzione di 7 mila appartenenti al personale amministrativo tecnico ausiliare. Ma solo un parte sono stati assorbiti.

E se genitori e studenti pensano che il problema sia confinato a docenti e precari e in fondo non li riguarda, si sbagliano di grosso. Perché a rimetterci sono soprattutto gli studenti. Ogni anno vengono assegnate 100 mila supplenze annuali, per non parlare di quelle più brevi che caratterizzano in molte scuole il balletto di inizio anno. Ci sono alunni che vedono un professore a inizio anno ma sanno che l’anno prossimo non lo avranno più insieme con il suo stile di insegnamento, di conoscenza dei suoi problemi, del modo con cui ha affrontato il programma scolastico. E così la tanto auspicata continuità didattica va a farsi benedire.

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