Scuola: una sfida
decisiva per l’Italia

La sigla Invalsi è poco nota al grande pubblico. Ma merita attenzione, perché lo scontro politico-culturale in corso in questi giorni sulla nomina del nuovo presidente dell’Istituto ha una posta in gioco decisiva per la qualità del sistema di istruzione in Italia e perciò per il destino del Paese.

L’Invalsi - Istituto nazionale di valutazione del sistema di istruzione - organizza ogni anno la “valutazione esterna” censuaria delle competenze in italiano e matematica degli studenti in alcune classi e, con una terza prova, nell’esame finale di Scuola media. L’Italia è
arrivata in ritardo di decenni rispetto agli altri Paesi europei sulla frontiera della valutazione esterna delle singole scuole e della comparabilità degli esiti di apprendimento tra scuola e scuola e tra Paese e Paese. Vari organismi internazionali e poi l’Ocse hanno incominciato a produrre indagini e Rapporti – l’Ocse ne presenta uno all’anno - sui livelli di apprendimento o sulle competenze dei ragazzi più di quarant’anni fa. Hanno dato una spinta su scala mondiale alle riforme in campo educativo e didattico. L’Italia incominciò presto a parteciparvi con Aldo Visalberghi, ma i nostri risultati venivano “dimenticati” nei cassetti del Ministero per arretratezza culturale e volontà politica di occultamento della cattiva qualità.

Nel 2004 Il Ministro Letizia Moratti costituì l’Invalsi. Incontrò una virulenta resistenza. Costituivano il blocco conservatore: il personale docente e dirigente, refrattario all’idea dell’accountability, cioè del “render conto” al Parlamento e al Paese; i sindacati; gran parte della sinistra; l’universo ex democristiano; la maggioranza della pedagogia accademica, da sempre ostica alla statistica e all’economia dell’istruzione; la burocrazia ministeriale, gelosa di un istituto indipendente. A ruota, si intende, partiti e ministri. A sostegno ideologico del blocco conservatore veniva reclutata una filosofia pseudo-umanistica, tanto laica quanto cattolica, per la quale la persona è ineffabile e inverificabile, i test sono sempre inadeguati, i numeri non si possono usare, la valutazione può essere solo qualitativa, ermeneutica, fenomenologica. Insomma: ci si deve affidare alla “metodologia dell’inverificabile” e all’intuizione trascendentale, dote di pochi illuminati pedagogisti e docimologi. A poco a poco, quel blocco è stato eroso: la maggioranza degli insegnanti si è resa conto che la valutazione esterna costituisce un aiuto fondamentale al lavoro educativo e didattico; i cittadini hanno incominciato a chiedere conto e ragione, non senza qualche estremismo. Resistono esponenti accademici - illuminante la Lettera del Luglio 2013 al Ministro firmata da Fabio Lucidi, Piero Lucisano, Renata Maria Viganò – e tutte le vedove in gramaglie del Dc-Pd Fioroni. Il quale nel 2006 abolì – ma la ripristinò nel 2008 - la rilevazione censuaria per quella campionaria, sindacalmente assai più tranquilla, e tese a ridurre la valutazione esterna ad autovalutazione. Livello cui la Cgil e i Ds avevano fermato Luigi Berlinguer. Tracce evidenti di questa posizione si trovano in un recentissimo “Pro-memoria non richiesto”, primo firmatario Damiano Previtali autocandidato “centrista” alla carica di Presidente, che sottolinea che “la vera comparazione della scuola deve essere con se stessa, non con le altre scuole”. Dunque: si scrive “valutazione esterna”, ma si legge “autovalutazione”. Che fa rima, palesemente, con autoassoluzione.

Senza test e numeri la comparazione empirica degli esiti su scala territoriale, nazionale e internazionale diventa impossibile. A quanto pare, il rifiuto dell’accountability è una patologia sociale molto estesa, che colpisce ancora dirigenti, docenti, accademici. Gli stessi che lamentano il degrado civile del Paese. Resta ovvio che le tecniche di indagine dell’Invalsi, la lettura dei risultati, l’utilizzo formativo dei medesimi da parte delle scuole sono migliorabili. Ma qui si decide se l’Italia debba andare a collocarsi irreversibilmente nella classe dei Paesi in via di sottosviluppo oppure no.

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