Senza via d’uscita
nella corte del dolore

Un uomo già avanti nell’età, ha ucciso sua madre di 89 anni, da tempo molto sofferente, sparandole mentre era a letto in preda a dolori.

L’atroce tragedia è avvenuta nella dolorosa intimità di una vecchia casa a Campolongo piccola frazione collinare di Erba, a due passi dalla provinciale Vallassina che sale a Longone e a Canzo. Un viottolo ancora di ciottoli lucidi come la piazzetta in cui si sbuca, un cipresso antico, la piccola chiesa del Settecento, dedicata a Sant’Antonio, poche case secolari ammodernate alla meglio: l’ambiente in cui si è consumato, ieri mattina, questo tremendo matricidio sembra essere rimasto indietro di un secolo o forse più, anche perché da questo balcone si guarda sulla conca eupilea alle montagne e alla vicina villa di Torricella dove Alessandro Manzoni soggiornò per qualche mese nel 1859.

Confesso che più volte sono salito sin qua a Campolongo e mi sono fermato sul muricciolo della piazzetta a osservare gli ultimi scampoli dei tempi andati ritrovando molto facilmente quella serenità di cui ogni tanto ha bisogno un uomo, ormai avanti negli anni come me. Invece proprio in questo luogo dove io sono andato, anche recentemente, per “tirarmi su un po’ il fiato”, o “per rigenerare il carrello”, come soleva talvolta dire Gianni Brera quando prendeva su e andava a Monterosso, chissà da quanto tempo si stava consumando un tremendo dramma familiare che è finito in tragedia: il figlio che uccide la madre invalida, sofferente, perché probabilmente non voleva più vederla soffrire. L’altro figlio, il fratello dell’omicida, di certo conosceva bene pure lui la disgrazia, perché tutti e tre vivevano nella stesso appartamento ma sembra sia estraneo al gesto estremo.

Un figlio che uccide la madre che gli ha dato la vita, oltre che creare dolore e sgomento, pone evidentemente tanti interrogativi. Il primo è scontato: possono consumarsi ancora drammi di questo tipo in questi nostri tempi in cui sono ormai all’avanguardia sistemi di assistenza sociale che arriva anche a domicilio, che mette a disposizione istituti, case di riposo e tutta un’altra lunga serie di apparati tesi ad aiutare gli anziani? Evidentemente nessuno di questi servizi è riuscito ad arrivare fin dentro l’intimità privata della casa dove vivevano una donna molto anziana e i suoi due figli scapoli, rimasti in famiglia per tutta la vita. Evidentemente questa “privacy” era difesa come se quell’appartamento fosse un bunker. Tutto questo anche se, come ci ha raccontato una vicina di casa, la nipote della donna uccisa, ci siano state molte pressioni sui due fratelli perché la madre fosse aiutata, assistita, o ricoverata in qualche casa di riposo. Niente: i fratelli avrebbero sempre fatto da soli. Certo il comportamento di queste persone sarà oggetto di studio e di valutazioni da parte di esperti, psicologi, criminologi, però mi pare di capire che non sia così raro che un figlio, davanti alle sofferenze della madre, si comporti come se questa sia una sua faccenda privata e agisca da solo, fino a quando non ne può più.

«Continuava a piangere per i dolori tutta notte questa donna e noi non potevamo intervenire», ci ha detto la nipote. E per il figlio l’unico passo è stato di premere il grilletto della pistola. «Almeno non soffre più»: avrebbe detto mentre lo arrestavano.

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