Spending review
Lo scoglio per Renzi

I soldi ci sono” : Mateo Renzi vuole tranquillizzare tutti, dalle opposizioni, alle categorie sociali e soprattutto l’Europa che parla di coperture “variabili” e per questo poco attendibili. Ue che raccoglie la sfida del premier per cambiare, ma non frena il suo bollettino in cui si dice che i cosiddetti compiti a casa l’Italia , per ora non li ha fatti.

Una tirata d’orecchi per Letta e Saccomanni, ma anche un avvertimento per Renzi. Il deficit è ancora lì, al 3% del Pil e la contrazione di quest’ultimo non ha certo aiutato un eventuale recupero. Ciò che conta, fra Bruxelles e Francoforte, sono i risparmi. Ecco

appunto, la famosa spending review che tutti dicono di volere, salvo rimetterla in un cassetto una volta che si scopre cosa c’è dentro o cosa ci dovrebbe essere. Renzi parla di recuperare soldi dallo scostamento- il 2,6% previsto per il 2014 - rispetto al 3% del rapporto deficit/Pil, dal calo dello spread, dall’accordo fiscale con la Svizzera, dagli introiti dell’Iva grazie ai pagamenti della pubblica amministrazione e dall’incremento di consumi attesi con gli 80 euro in busta paga da maggio. Coperture attese, più che effettive: su quello 0,4% di deficit occorre trattare con la Ue, il computo del calo dello spread si farà a fine anno, i gettiti dell’Iva sono presunti e tutti da dimostrare, l’accordo con la Confederazione elvetica è una tantum e comunque non c’è ancora. E anche il gettito conseguente l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie, 2,6 miliardi, è ridimensionato non solo da Brunetta (“Solo 800 milioni”), ma anche dal presidente della commissione Bilancio il pd Francesco Boccia che parla di 1,4 miliardi.

Dunque gira che ti rigira, si torna sempre lì: i tagli. E’ la spending review il cuore della svolta, la chiave per aprire le porte della disponibilità delle cancellerie e della Bce. Tagliare, ridurre, razionalizzare in un Paese come l’Italia, vuol dire ridurre o eliminare aree di privilegio che avevano un pari solo in Grecia. Una fetta non indifferente dell’economia italiana e delle famiglie fino ad ora poggia o ha poggiato su queste aree. Il settore pubblico, ovviamente, ma anche buona parte del privato che ha sempre contato su sussistenze e provvidenze altrove sconosciute grazie a reale concorrenza e liberalizzazioni. Se Renzi vuol fare il suo dovere di politico nuovo, sa che delle proposte di Cottarelli dovrà prendere la polpa e non limitarsi a rimuovere la pelle. E se s’intacca la carne, scattano il dolore e la resistenza. Il solo accenno a una razionalizzazione delle forze dell’ordine e delle loro strutture è stato sufficiente a far scattare l’allarme rosso. Con buona pace dei decenni di cui si parla di sale operative comuni, di rimettere in strada gli agenti oggi negli uffici, dei doppioni o peggio di pattuglie e presidi creati sul territorio per accontentare i pavoni elettorali e non le esigenze di sicurezza. E la minaccia di una riduzione delle sovvenzioni al trasporto è stata sufficiente affinché i padroncini mettessero sul tappeto il possibile blocco dell’intero Paese. Cosa succederà poi quando si parlerà della riduzione di 6 miliardi degli incentivi statali e regionali alle imprese o del no preventivo a tutte le norme “mancia, sogno e la speranza di decine di migliaia di enti locali e associazioni? O quando si stringerà sugli acquisti e sulle gare di Regioni e Comuni, si rapporterà il tutto ai costi standard (nella sanità capitolò perfino Monti)? Quante lobby, quanti affari consolidati vedranno con terrore il crollo imminente? Senza contare che nelle 70 schede di Cottarelli, per recuperare da qui al 2016 la bellezza di 32 miliardi, è difficile che manchi forse il capitolo più spinoso: quello della previdenza, un pacchetto che costa 270 miliardi all’anno, circa il 16 % del Pil. Renzi per ora rassicura. Per ora.

© RIPRODUZIONE RISERVATA