«Le nostre Rsa utilizzate come ospedali. Ma di serie B»

L’appelloLe case di riposo del territorio battono cassa: «Crescono ancora i costi per l’assistenza sanitaria. Le spese non possono sempre ricadere sulle famiglie»

Le Rsa in crisi lanciano l’allarme: «Siamo diventati ospedali di serie B».

La situazione economica nella maggior parte delle case di riposo del Comasco è complicata. Molte strutture sono state costrette ad alzare le rette per far quadrare i bilanci. Sono anche 800 euro d’aumento all’anno a famiglia.

Uneba, l’ente che rappresenta le Rsa non profit, chiede alla Regione di alzare le tariffe riconosciute dal sistema pubblico per l’accoglienza degli ospiti. Colpa di inflazione, costi dell’energia, delle spese per il personale. Ma anche dei bisogni di cura degli anziani che arrivano nelle case di riposo in condizioni sempre più precarie, con fragilità sempre più complesse, meritevoli a volte di un vero ricovero.

«L’incremento medio dei costi si colloca tra gli 8 e i 12 euro»

«Le nostre Rsa, senza fini di lucro, sono chiamate a prendersi cura di anziani sempre più fragili – spiega Mario Sesana, segretario di Uneba Como –. Per legge dobbiamo garantire un’assistenza pari a 901 minuti settimanali, un numero che però non corrisponde più alla realtà. Le famiglie infatti tendono a gestire a casa i loro cari se sono in condizioni ancora relativamente stabili. Chiedono aiuto alle Rsa solo quando i casi sono molto gravi, ormai compromessi. E così in media le Rsa si trovano a dover erogare almeno 1200 minuti di assistenza settimanale per ogni ospite». Con i costi che aumentano.

«Sono costi sanitari – dice Sesana –, i nostri posti in Rsa sono diventati di fatto dei posti letto ospedalieri di serie B. Costano meno alla Regione rispetto ad un vero ricovero. Ma tutte le case di riposo ormai si sono attrezzate per curare internamente gli anziani».

A dire il vero la Regione nel corso della pandemia ha aiutato queste strutture. «A fronte di un incremento medio di costi per tutte le Rsa che si colloca tra gli 8 e i 12 euro giornalieri per posto letto – spiega Uneba in una nota – relativo ad assistenza, energia o personale, l’incremento riconosciuto da Regione Lombardia di circa un euro al giorno non appare sicuramente risolutivo».

Gli aiuti garantiti dal Pirellone negli ultimi due anni secondo le case di riposo non sono bastati a coprire nemmeno l’aumento dell’inflazione. «È vero che per noi le condizioni di salute sempre più gravi degli anziani significano maggiori cure e maggiori spese – dice Marisa Bianchi, direttore generale di Ca’ d’Industria –. L’incremento delle rette, che pesa sulle famiglie, non può essere l’unica soluzione. Pochi anziani hanno pensioni adeguate e temiamo che possa incrementare il numero di chi non riuscirà a pagare il mensile».

Molte strutture sono state costrette ad alzare le rette

«Serve una quota aggiuntiva sanitaria e non solo assistenziale – suggerisce Alberto Rigamonti, presidente di Ca’ Prina, a Erba –. In Lombardia la Regione sta costruendo gli ospedali di comunità, con 20, massimo 40 posti letto per le cure non acute. Ma già noi Rsa nella realtà forniamo questo servizio».

«Noi siamo enti socio sanitari, nel sanitario come noto le rette non ci sono – aggiunge Patrizio Tambini, presidente delle Giuseppine –. C’erano stati in passato dei dibattiti sugli ospiti con Alzheimer nelle Rsa, ma l’argomento è molto complicato. Io sottolineo che più patologie hanno bisogno di maggiori cure, ma di conseguenza anche di più personale specializzato. Personale che non si trova e che richiede oggi costi sempre più elevati».

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