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Mercoledì 17 Marzo 2010
L'accusa ai giudici popolari:
«Rosa e Olindo sani di mente»
Iniziato il processo d'appello per la strage di Erba: i due imputati sono arrivati in ritardo. In gabbia si sono tenuti la mano solo per pochi minuti. Hanno inviato una missiva agli inviati dei Tg. Il presidente della corte: «Troppi processi mediatici»
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Durerà ancora almeno altre quattro udienze, il processo di secondo grado per la strage di Erba, iniziato ieri nell'aula della prima sezione della corte d'Assise d'Appello di Milano. Ma la corte ha rigettato la richiesta della difesa di decidere subito sulle istanze preliminari per riaprire il procedimento.
Dal canto loro Rosa Bazzi e Olindo Romano hanno deciso che non parleranno. Sollecitati dal presidente della corte, Maria Luisa Dameno, i coniugi hanno replicato (su convinto suggerimento dei loro avvocati): «No, grazie». Gli imputati, già condannati all'ergastolo in primo grado, hanno preferito scrivere una lettera ai telegiornali: «Sentimenti calpestati, diritti violati, negati da chi li dovrebbe garantire. Violenze gratuite a una nostra debolezza psicologica, perseguitati e gettati in uno stato di disperazione, hanno cercato di imporre una loro verità impedendo sistematicamente alla nostra difesa di esercitare».
«Nonostante tutto abbiamo fiducia nella giustizia, - continuano i due - speriamo che al processo di appello tutti gli errori commessi dal giudice di primo grado verranno al pettine, potendo così dimostrare la nostra innocenza. Cordiali saluti, Olindo e Rosa».
Carlo Castagna e i suoi figli si sono detti «increduli» di fronte alla diffusione della lettera. «Siamo increduli - ha detto Carlo Castagna - non si mettono d'accordo nemmeno con i loro avvocati. Queste cose dovevano dirle in aula ma quando hanno chiesto loro se volevano fare dichiarazioni hanno risposto no».
Rosa e Olindo, in gabbia, non parlano nemmeno tra di loro. E, dopo essersi inizialmente tenuti per mano, non hanno più neppure cercato un contatto. Apparsi stanchi e invecchiati, ben più dell'anno e mezzo dall'ultima "apparizione pubblica", i coniugi Romano sono arrivati a Milano in ritardo. E per l'intera giornata, pur rimanendo l'uno accanto all'altra, non si sono cercati né con lo sguardo, né con un abbraccio. Si è avuta quasi la sensazione che l'unione da molti definita "patologica" non sia più così stretta come all'epoca del processo di primo grado.
Nell'aula della corte d'Assise d'appello, c'erano tutti: gli imputati, i loro difensori e le parti civili, da Azouz Mazouk alla famiglia Castagna, che prima del processo si sono incontrati. Non c'è Mario Frigerio, il testimone e unico sopravvissuto della strage.
In apertura del processo il presidente della corte, Maria Luisa Dameno, ha raccomandato al pubblico e alle parti «di mantenere la massima serenità». Quindi ha attaccato: «Non volevo che quest'aula venisse trasformata in un set di riprese. Di processi mediatici, in questo caso, ne sono stati fatti anche troppo».
La corte che dovrà giudicare i coniugi già condannati all'ergastolo in primo grado è composta, oltre che dal presidente e dal giudice a latere, da sei giudici popolari: cinque uomini e una donna.
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