Arrighi, il mistero dei fucili
ritrovati a casa di Brambilla

Si tratta di preziose armi da collezione che apparterrebbero a un cliente di Arrighi, un imprenditore comasco piuttosto conosciuto che gliele aveva affidate per ripulirle, sistemarle e, probabilmente, anche perché l'armiere ne stilasse una valutazione

COMO - Quattro fucili, quattro armi da collezione antiche, vecchie d'un centinaio d'anni, cassa e calcio intarsiati. Li ha recuperati la questura di Como nella casa che fu di Giacomo Brambilla, il 42enne benzinaio comasco ucciso a febbraio nel negozio dell'armiere Alberto Arrighi in via Garibaldi.
Questione ingarbugliata, mistero nel mistero. Le armi apparterrebbero a un cliente di Arrighi, un imprenditore comasco piuttosto conosciuto che gliele aveva affidate per ripulirle, sistemarle e, probabilmente, anche per svolgerne una valutazione.

Il cliente non le vide più, anche se qualche giorno dopo la consegna si fece vivo per chiedergli che fine avessero fatto. Arrighi, a quanto pare, gli rispose in modo evasivo, cercando di guadagnare tempo ma è un fatto che, a distanza di qualche mese dalla consegna (e quindi dall'omicidio), i quattro fucili siano stati recuperati a casa della vittima, dove erano esposti su una parete. Sul caso dei fucili la Procura avrebbe anche già aperto un fascicolo separato, che nulla ha a che spartire con quello dell'omicidio, un fascicolo conseguenza scontata della denuncia sporta a suo tempo dal legittimo proprietario delle armi.

Intanto si attende comunque la conclusione del troncone di inchiesta relativo all'omicidio. Sembra tutto già scritto: la Procura chiederà per gli indagati (oltre ad Arrighi anche suo suocero Emanuele La Rosa) un processo con le accuse di distruzione di cadavere e, per il solo Alberto, di omicidio volontario aggravato da una premeditazione su cui la difesa cercherà di giocarsi diverse carte. Bisogna chiarire se l'omicida abbia agito d'impeto, reagendo - come ha sempre sostenuto - a una battuta infelice della vittima (che disse di non essere interessato al destino di sua moglie e delle sue figlie), o se invece il delitto sia stato preparato, studiato a tavolino, approntando fin dall'inizio le armi, i sacchi dell'immondizia per avvolgere il corpo, il piano stesso, che peraltro resse molto poco alla prova dei fatti, visto che, nemmeno 24 ore più tardi, l'incriminazione era già formalizzata.

Ci sono altre domande, che riguardano in particolare i risvolti economici della vicenda: all'appello mancherebbero svariate decine di migliaia di euro, soldi nella disponibilità della vittima, che aveva in atto un lungo contenzioso con Shell, di cui non vi sarebbero più tracce. La conclusione è, come detto, piuttosto vicina. Si può anche ipotizzare che, entro la fine del mese di settembre, il pm Antonio Nalesso chieda il giudizio immediato e che, per il mese di ottobre, Alberto Arrighi e il suocero Emanuele La Rosa, compaiano davanti al giudice preliminare per giocarsi le loro carte.

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