Il papà: "Il mio Ali rideva sempre
Era felice, come tutti i bambini"

Il ricordo del padre Mohammad, che guarda le foto del figlio di 4 anni morto domenica attorno a mezzogiorno per un malore, mentre stava giocando con i fratellini sul lettino, nella loro abitazione di via Borgognone. "Era un bambino meraviglioso"

CANTU' Lo sguardo spento, fisso nel vuoto. Cerca di restare forte, papà Mohammad. Nel giorno assurdo che si è portato via per sempre Ali, uno dei suoi quattro figli. Cinque anni fra poche settimane. Un compleanno che non arriverà mai. Alla una e mezza del pomeriggio, il padre è appena ritornato dalla camera mortuaria. I ricordi sono chiusi nel suo cellulare. Un Nokia di valore modesto, con la fotocamera usata come occhio per l'album di famiglia.
Papà Mohammad guarda tutte le immagini. Ali seduto in poltrona, al suo arrivo in Italia. Alì in posa con i suoi fratellini. Poi, lo scatto più triste. Dove si vede il tenero viso di Ali immerso nel biancore del lenzuolo di morte. Gli occhi chiusi per sempre. Sorride. Un sonno infinito, senza sogni. «Ali era meraviglioso – ricorda il padre, mentre nello sconforto gli cadono le braccia lungo i fianchi – salutava sempre tutti quelli che incontrava per strada. Rideva sempre. Era felice, come lo sono tutti i bimbi della sua età».
Circondato da tre amici, papà Mohammad risponde alle telefonate di cordoglio. Riappende dopo poche parole pronunciate nella sua lingua. Tante, le fatiche sopportate. Otto anni in Italia da solo, a lavorare come operaio alla Belt, ovvero la ex Cigo di Romanò, Inverigo. Sopravvissuto ai licenziamenti. Contratto in scadenza a fine mese. Grazie al ricongiungimento familiare, a metà aprile, dal Pakistan era arrivata tutta la famiglia. Avevano lasciato Sialkot, nel nord del paese. Dove è nato il capitano della nazionale di cricket e si producono palloni. In Italia, le prospettive di una nuova vita. Mamma Nazmeen, impegnata a tirar dietro la casa e a far crescere i bimbi. I pomeriggi al parco di via California, a giocare tra altri bambini. Pakistani e italiani. A settembre, Ali sarebbe andato a scuola. Come i suoi due fratellini, la sua sorellina.
Il papà stava guardando la tivù in un altro locale. Nella casa sopra la gelateria, dove vive anche la famiglia del cugino, anche lui con la moglie e un altro bimbo piccolissimo. Quando Ali è stato male la prima volta, suo papà è corso a vedere cosa stesse succedendo. «Ma si è rimesso a giocare, sembrava stesse bene – ricorda – poi, di colpo, non riusciva più a respirare». Negli occhi, si leggono ore quasi impossibili da affrontare. «Gli altri fratellini continuano a piangere – dice Mohammad – pensano che Ali stia male. A loro, non riesco a dire quello che è successo. Ma dovrò farlo».

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