Senna, una sera a cena
in "quella" pizzeria

Riapre oggi la ex Conca d'Oro, dove in febbraio fu ritrovata la testa di Giacomo Brambilla, assassinato a Como. Venerdì, assaggio di cucina per amici, conoscenti e il nostro cronista

SENNA COMASCO La vecchia insegna è coperta da un telo azzurro. «La Conca d'Oro» non c'è più, la pizzeria di Senna in cui in febbraio fu ritrovata la testa di Giacomo Brambilla, l'imprenditore assassinato all'armeria Arrighi di Como. Un telo di plastica, sull'ingresso, indica «Il giardino dei melograni», nuovo nome per voltare pagina.
Questa sera, la riapertura ufficiale. Pubblicità soltanto via sms ed e-mail. Ieri, venerdì sera, una delle "prove generali" con la clientela. Amici, conoscenti, il cronista. Nel locale, niente fuori posto. E' lo stesso di prima. Toni color pesca sul rosa delle pareti, illuminate a giorno. La radio passa «Ragazzo Fortunato» di Jovanotti. Il design minimale in legno di wengé, stile finto giapponese. Il giardino zen fuori dalle vetrate, rasato con cura. Le poltroncine in pelle, le sedie di metallo. Le tivù a schermo piatto. Le tovaglie invece sono di un altro colore, grigio chiaro. Su ogni tavolo, una finta orchidea immersa in una bottiglietta di vetro a forma di piramide, con i sassolini rosa al posto dell'acqua. Si sente tuonare in lontananza. Il vento forte sbatte i tessuti delle veneziane. La cameriera chiude i vetri.
E' giovanissima. Ha una maglietta nera, il colore ufficiale della divisa di chi lavora al «Giardino». Sulla sua, c'è la scritta «Party» a forma di cuore. Ai tavoli, i clienti-amici. Due coppiette silenti, più un altro gruppo da sei. Altri quattro ragazzi fuori. Uno di loro, in bermuda e abbronzato, dice un «mannaggia la miseria» e poi entra. I clienti-parenti. Prima delle otto e mezza, arriva Daniela La Rosa, la moglie di Alberto Arrighi. L'uomo che ha confessato l'omicidio Brambilla. Entra con la figlia, ha una camicia bianca estiva e si mette in un angolo. Si è trasferita a chilometri di distanza.
Ma passa spesso a trovare il fratello, il padrone del locale. Cioè, Roberto La Rosa. Sorride ai clienti, porta il menù. Trentadue pizze a disposizione. La margherita 3 euro e 50, quella coi frutti di mare 8 euro. Tutto viene cucinato in un nuovo forno. Nulla a che vedere con quello tristemente famoso in febbraio. «Il forno vecchio è ancora lì, sotto sequestro e con i sigilli», dice Roberto. Lo si intravede dal corridoio che dal giardino porta alla cassa, ma niente foto. «Lo distruggeremo non appena sarà possibile». Poi cambia argomento: «in queste sere, ho soltanto fatto alcune prove. Ma ufficialmente il locale apre sabato sera». Il personale? «Non ho ancora trovato un cuoco adatto. Purtroppo, si fa fatica. C'è chi ha pretese economiche troppo esagerate». Due le proposte culinarie del nuovo corso. «Con il bistrot, partirò a settembre. Per ora, farò soltanto questo tipo di pizza, che deve essere diversa. La ricetta ha un impasto particolare».
La manodopera di prima, non c'è più. Nuove le due cameriere, la lavapiatti e il giovane pizzaiolo. «Gli altri hanno trovato un altro lavoro quando il locale è stato messo sotto sequestro – prosegue La Rosa – e non sono tornati». Come non è tornato il papà, Emanuele La Rosa, ancora in carcere. Come il genero Arrighi: l'armiere che rischia l'ergastolo. «Mio padre non vede l'ora di uscire, è fiducioso – dice Roberto – nonostante la situazione, riesce a reagire bene. E' un uomo che è sempre stato molto forte e attivo, vuole tornare a casa presto».
Christian Galimberti

© RIPRODUZIONE RISERVATA