Omicidio Di Giacomo:
la verità in uno scontrino

Como: è legato (anche) al tagliando emesso da un parcometro di piazza Volta il destino dei due imputati. Mercoledì prossimo il pm Antonio Nalesso affiderà a un proprio consulente l'incarico di verificare se su foglietto che la polizia trovò sul cruscotto del furgone della vittima, ci siano o meno impronte digitali e, nel caso, a chi appartengano

COMO È legato (anche) al tagliando emesso da un parcometro di piazza Volta il destino dei due imputati dell'omicidio di Antonio Di Giacomo, il piccolo imprenditore di Colico ucciso a pistolettate il 9 ottobre scorso in città. Mercoledì prossimo il pm Antonio Nalesso affiderà a un proprio consulente l'incarico di verificare se sullo scontrino che la polizia trovò in bella evidenza sul cruscotto del furgone della vittima, ci siano o meno impronte digitali e, nel caso, a chi appartengano.
Già sollecitata in udienza preliminare dagli avvocati Renato Papa e Stefano Pelizzari (difensori di Renato Panarisi, 53 anni, originario di Agrigento, imputato assieme al comasco Emanuel Capellato, 35 anni) ma rigettata dal gup, la consulenza potrebbe aiutare a chiarire una ricostruzione che ancora si inceppa in più punti. Capellato ha sempre sostenuto di essersi incontrato con Di Giacomo in tarda mattinata, di avere pranzato in via Carloni e di essersi poi recato, sempre con lui, nell'appartamento di via Cinque Giornate, il bilocale in cui più tardi si sarebbe consumato il delitto. Davanti al pm, sostenne che, prima di morire, Di Giacomo uscì e raggiunse il furgone lasciato in piazza Volta per sostituire il tagliando della sosta. Quello trovato sul cruscotto segnava effettivamente le 13.57, orario compatibile con la ricostruzione, ma dalla presenza di impronte potrebbero trarsi alcune conclusioni utili. Se ci sono quelle di Di Giacomo, allora Capellato dice il vero, ma se ci fossero le sue, allora Capellato finirebbe per offrire un assist al coimputato. Panarisi, infatti, ha sempre sostenuto di essere arrivato a cose fatte, quando cioè Di Giacomo era già stato ammazzato:le celle utilizzate per verificare i suoi spostamenti tramite il telefono cellulare ci dicono che a Como, in centro storico, approdò alle 14.38. Eventuali impronte di Capellato su un tagliando emesso alle 13.57 potrebbero significare che, a quell'ora, il delitto si era già consumato (diversamente non si capirebbe perché a cambiare lo scontrino non ci sia andato il proprietario del furgone) e che Panarisi dice il vero.
Non è detto che lo scontrino sia risolutivo, neanche nel caso in cui vi si trovassero le impronte di Capellato. Il quale, se avesse ucciso Di Giacomo prima delle 13.57, difficilmente avrebbe avuto anche il tempo di badare al furgone in piazza e al parcometro scaduto.
La sensazione, a poco più di un mese dall'udienza preliminare (fissata per il 30 settembre), è quella che la Procura voglia chiudere tutti i varchi, limitando al massimo i margini di manovra a disposizione dei difensori (oltre ai già citati Pelizzari e Papa, anche Gerardo Spinelli, per Capellato). Del resto si tratterà di un processo difficile, con un capo di imputazione zeppo di prove sul coinvolgimento di entrambi gli imputati, ma più debole quando si tratta di chiarire chi abbia sparato, quando si tratta di trovare, per l'una o l'altra tesi (Capellato o Panarisi), la prova della cosiddetta «smoking gun», cioè della pistola fumante. La Procura è decisa a contestare l'omicidio a entrambi, convinta che fossero insieme presenti al momento dell'omicidio e che, insieme, abbiano architettato l'agguato, abbiano attirato nella trappola Di Giacomo con l'obiettivo di derubarlo di una manciata di orologi falsi e che alla fine lo abbiano ucciso dopo avere perso il controllo della situazione. Appuntamento in Procura la prossima settimana per analizzare lo scontrino e il 30 settembre per il processo.

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