Delitto del furgone giallo
Il colpevole è uno solo

A oltre sei mesi dall'omicidio di Antonio Di Giacomo le responsabilità sembrano concentrarsi su Emanuel Capellato mentre si alleggerisce la posizione del suo presunto complice, Leonardo Panarisi, l'uomo che l'aveva aiutato a liberarsi della salma

COMO - Per Emanuel Capellato si mette sempre peggio. A oltre sei mesi dall'omicidio di Antonio Di Giacomo, il piccolo imprenditore di Colico freddato lo scorso ottobre con due colpi alla testa in un appartamento di via Cinque Giornate a Como, dai laboratori della polizia scientifica di Roma arrivano nuovi elementi che sembrano incastrare definitivamente il figlio di Nilo il pugile, non però il suo presunto complice: Leonardo Panarisi.
Nelle scorse settimane gli esperti di balistica della scientifica hanno inviato a Como le conclusioni sull'eventuale presenza di tracce di polvere da sparo all'interno di un marsupio e di una borsa di proprietà di Panarisi, 62enne siciliano residente a Solzago di Tavernerio, oltre agli accertamenti sulla molla di una pistola trovata nell'armadietto che Emanuel Capellato aveva al lavoro. Responsi che se da un lato non forniscono alcun elemento a carico di Panarisi, accusato dal presunto complice di aver materialmente sparato ad Antonio Di Giacomo, dall'altro finiscono per inguaiare ancor di più il suo grande accusatore, che ha sempre sostenuto non essere stato presente al momento dell'omicidio.
I laboratori della scientifica, infatti, non hanno trovato tracce di polvere da sparo nel marsupio di Panarisi: segno che nessun'arma da fuoco è stata riposta nel borsello sequestrato nella casa di Tavernerio; diverso è il discorso sulla borsa che è sì risultata positiva, quindi utilizzata per il trasporto dell'arma, ma che - pur di proprietà di Panarisi - è stata trovata dagli inquirenti a casa di Capellato, in via Cinque Giornate. E sempre a disposizione di Capellato è stata trovata pure una molla di una pistola che, sostengono gli esperti di balistica, potrebbe essere compatibile con l'arma del delitto, mai ritrovata dagli inquirenti.
Secondo la procura, e secondo gli agenti della squadra mobile, Di Giacomo sarebbe stato ucciso da Panarisi e da Capellato durante un goffo e maldestro tentativo di rapinarlo di alcuni orologi falsi. Capellato punta il dito sul coindagato, sostenendo che fu lui ad aver sparato: «Io ero sceso a prendere un caffè», è la sua versione. Panarisi accusa il più giovane coindiziato: «Mi ha chiamato dicendomi che aveva combinato un guaio. L'ho aiutato soltanto a far sparire il cadavere», ha sempre detto al pubblico ministero Antonio Nalesso. Il corpo del Di Giacomo, dopo il delitto, venne infatti chiuso in un armadio comprato dai due a un "fai da te" con l'idea di trasportarlo in giro per piazza Duomo e caricarlo poi sul furgone giallo della vittima, ritrovato la mattina dopo il delitto a Tavernerio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA