Coletti: «Basta lamentarsi
Rimbocchiamoci le maniche»

È il momento che tutti, dai politici agli imprenditori a ogni singolo comasco, si diano da fare. In prima persona. È un messaggio forte e chiaro quello lanciato dal vescovo Diego Coletti alla città dalle volte della basilica del patrono, Sant'Abbondio

COMO È il momento che tutti, dai politici agli imprenditori a ogni singolo comasco, si diano da fare. In prima persona. È un messaggio forte e chiaro quello lanciato dal vescovo Diego Coletti alla città dalle volte della basilica del patrono, Sant'Abbondio. «Invece di lamentarsi sempre degli altri - ha detto monsignor Coletti - la cosa fondamentale è tirarsi su le maniche, insieme, e andare alle radici dei problemi non fermandosi alla superficialità». Un messaggio che va «in continuità con lo scorso anno», quando il vescovo invitò i politici e la classe dirigente a un maggior dialogo con l'obiettivo di perseguire il bene comune lasciando da parte i propri interessi personali. E che richiama tutti «al senso di responsabilità». Nel suo scritto di 15 pagine rivolto alla città monsignor Coletti parte dalla situazione attuale della società e dà una bella strigliata alla classe politica: «Occasioni perse, irresponsabili gestioni finanziarie finalizzate solo alla produzione del massimo profitto possibile, spreco di risorse su cose superficiali, inutili o dannose, sistematico rifiuto di assumersi responsabilità di programmazione e di gestione della cosa pubblica, energie spese in litigi e contrasti, mentre il bene comune viene subordinato alla ricerca del proprio vantaggio senza troppo badare ai mezzi e alla legalità, sistematica ed esclusiva ricerca del consenso, al fine di continuare a gestire il potere se lo si ha, o di conquistarlo se già non lo si possiede». E ancora parla di «crisi della democrazia che è sotto gli occhi di tutti. Si deve purtroppo registrare il diffondersi di un risentito disinteresse alla politica e di un pericoloso e indignato qualunquismo che svuotano le cabine elettorali e rischiano di far rinascere nostalgie autoritarie».
Da qui per dire che quello che succede (dal locale, al mondiale, dalle catastrofi alla crisi economica) non è da attribuire al destino inevitabile, ma all'«inquinamento morale». Ed ecco allora che ciascuno, a seconda del suo ruolo, deve assumersi la sua responsabilità. A maggior ragione i cristiani: «Se ci fossero in azione più donne e più uomini che somigliano al Dio di Gesù Cristo e non a quello del potere e del tornaconto personale? Uomini e donne che non fanno del profitto personale (o di gruppo o di casta) il loro idolo. Che non si preoccupano di aumentare ad ogni costo e senza scrupoli il vantaggio della propria “parte”, ma si occupano con amore disinteressato di ciò che promuove e garantisce il bene di tutti. Cosa succederebbe se questi uomini e queste donne fossero il nerbo della classe politica e imprenditoriale? Se questo fosse lo stile dei rapporti e delle relazioni a tutti i livelli?». Insomma, serve davvero rimboccarsi le maniche. Insieme perché, per usare le sue parole, «siamo tutti sulla stessa strada». Un appello, il suo rivolto, a tuttotondo. Ai credenti e «a tutti coloro che hanno a cuore il bene dell'umanità». A chi ha orecchie per intendere, per essere più semplici. Da Sant'Abbondio, monsignor Coletti ha parlato (nel giorno in cui divampa la polemica sulle affermazioni di Gheddafi che punta a convertire all'Islam l'Europa), proprio sulla religione di Allah: «Non arretreremo mai perché abbiamo gustato la bontà del Signore e di quanto è importante vivere da figli, non da schiavi».
Gisella Roncoroni

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Eco di Bergamo L'omelia del vescovo