Mille penne nere in Duomo
per l'omaggio a don Gnocchi

La salma del beato Gnocchi visitata da una processione di alpini. Alcuni di loro hanno fatto la ritirata di Russia con il cappellano: "Era un sant'uomo. Ha fatto del bene a tutti. Ci risollevava con le sue parole"

COMO - Passano davanti alla teca che pesa 580 chili. Dentro c'è quel sant'uomo di don Gnocchi, il volto ancora intatto, le dita intrecciate nel rosario. Lo chiamavano così, «sant'uomo», quando era ancora in vita, quando era giovane con i piedi ben piantati a terra ma un'anima radicata nella fede in Dio. Era il loro cappellano, in tempo di guerra, durante la ritirata di Russia quando nessuno sapeva se sarebbe tornato a casa, quando il gelo tagliava piedi e mani, quando le famiglie erano lontane e il pensiero di non poterle rivedere pesava più della fame che comunque faceva impazzire i soldati. Sono rimasti in sei, i reduci della ritirata di Russia, sono eroi anche per gli alpini, che affollano piazza Duomo. Erminio Nava, classe 1918, di Mariano, è una roccia che non si perde una tappa delle manifestazioni. «Don Gnocchi era un sant'uomo, ha fatto del gran bene a tutti,  aveva parole speciali, che risollevavano gli animi a tutti, quando eravamo in difficoltà. Quanto ci toccò camminare quando ordinarono la ritirata. Come se non bastassero il freddo e la fame, c'era il freddo, tanto freddo. Ho visto cose terribili, gente impazzire, compagni che chiedevano di essere uccisi tanto era la sofferenza che provavano. Eppure sono ancora qui a raccontare». 
Domenico Ortelli, Grandola e Uniti, classe 1913, nel libro «Comaschi in guerra», racconti di alpini al fronte, ha un'altra storia da raccontare su don Gnocchi:  «La vigilia di Natale giunse improvvisa. Né pensata, né attesa come lo fu sempre nelle nostre case in tempi di pace. Arrivò meschina, senza luci né calendario. Nevicava come non lo aveva mai fatto prima. Gli ufficiali se ne erano andati presto quella sera mentre io incominciavo il mio turno di guardia. Quel sant'uomo di don Gnocchi aveva celebrato una messa in un capanno stalla. Mi dissero che fu commovente e suggestiva perché quasi ogni partecipante portava con sè un lumino ricavato da una scatoletta della conserva e uno stoppino immerso nell'olio. Per quell'ora sacra avevano lasciato i loro rifugi al buio. Le tenui fiammelle forse per quel tempo, avevano illuminato le loro anime, i loro ricordi e le loro speranze». Tarcisio Redaelli, Monguzzo, classe 1922 scrive: «Voglio iniziare il mio racconto da una chiacchierata che feci con don Carlo Gnocchi nel novembre del 1942. Dopo tanti anni, alcune parole sono stampate ancora chiare nella mia mente: "Non tutti noi ritorneremo nelle nostre case, ma chi avrà la disgrazia di rimanere in terra di Russia, facendo il proprio dovere, andarà in Paradiso"». Ricordando cosa mi disse quel sant'uomo, l'anno scorso per il giorno dei morti sono andato a confessarmi e il sacerdote, chiacchierando un po', mi chiese dove avessi fatto il militare. Quando gli risposi di aver partecipato alla campagna di Russia e gli raccontai del colloquio con don Gnocchi, mi rispose che, pur essendo riuscito a ritornare a casa, in Paradiso ci sarei potuto andare ugualmente. Aggiunse che ci sarei andato con i miei scarponi, che da allora tengo con cura ancora maggiore rispetto a prima». Questo infondeva don Gnocchi, fiducia e fede. Per questo sono lì tutti a salutarlo, anche se lui è avanti, già in Paradiso, già beato.
Anna Savini

© RIPRODUZIONE RISERVATA