Mio padre il lupo mannaro
Il racconto di una figlia abusata

Suo padre la picchiava e le metteva le mani addosso in maniera morbosa. Luna ha raccontato la sua storia e ora che il padre è in carcere vuole aiutare chi sta male e scrivere

COMO Luna ha un viso da ragazzina e due treccine che le si appoggiano leggere sulle spalle. Timide come il lieve rossore delle guance, quando ti stringe la mano per presentarsi. Ha un sogno nel cuore e uno squarcio nell'anima, che lei ha fuso assieme, mentre con la penna scaricava sopra un foglio la sua vita, trasformando dolore e rabbia in racconto.
Luna ha 22 anni. Vive a Como da quando era una bimba. Abita con la madre, due fratelli e una sorella. Il padre è in carcere, condannato a otto anni per violenze e maltrattamenti nei confronti delle figlie. Della moglie. Di Luna.
Scrive nel suo racconto, pubblicato integralmente sull'ultimo numero del mensile Geniodonna: «Il lupo mannaro colpiva con calci e pugni e alcune volte utilizzava il bastone. Tornando da scuola, io ero da sola e dovevo cucinare per il lupo. Cominciava a guardarmi con occhi strani, maliziosi. Il lupo, appena mia madre si allontanava, mi toccava in tutto il corpo. Avevo nove-dieci anni. Mi diceva: "se fai tutto quello che voglio io ti faccio vivere molto bene"... Mi sentivo una nullità!».
Scippata troppo presto dell'innocenza, derubata della sua gioventù, Luna ha vissuto l'orrore della violenza, il terrore delle minacce del genitore, la preoccupazione per le botte alla madre e ai fratelli. Ma se le chiedi quale sia il suo dolore più grande, con gli occhi lucidi  risponde senza esitazioni: «Mio padre che mi ha tolto la gioia di avere un padre».
Il racconto di Luna è crudo, angosciante, vero, coraggioso: «Ho conosciuto la droga e me ne vergogno. Sono stata una dark perché mi sentivo nera, dentro e fuori. Una Luna nera», e quindi invisibile nel cielo. «Siamo scappati di casa e ci siamo rifugiati in una comunità. Ho incontrato ragazze che avevano storie come la mia e anche peggiore e ho scoperto che non nevicava freddo solo a casa nostra». Poi, un giorno, tutto questo finisce. Il "lupo" viene arrestato. Processato. Condannato. Luna e la sua famiglia, finalmente, sono libere. Ma la paura, gli incubi non l'abbandonano. E allora decide di scrivere: «Era da tre anni che avevo in mente di farlo - spiega - Poi mia mamma mi ha detto: "Prima che chiudo gli occhi devi raccontare la nostra storia, per dare il coraggio agli altri di denunciare, di non subire". Un giorno fissavo mia mamma e mi sono messa a scrivere». Mentre racconta, le si arrossano gli occhi: «Sì, sono orgogliosa. Molto orgogliosa».
Al processo contro il "lupo" lei non si è presentata: «Non avevo il coraggio di vederlo. Anche perché, ho pensato, se lo vedo lo ammazzo. Oggi? No, non c'è più tutta quella rabbia». Quella rabbia nata dal ricordo, dalla paura, dalle notti insonni. Scrive nel suo racconto: «Da quando ero piccola e fino a undici anni ho dormito con la mamma e il lupo, perché l'ambiente era piccolo. Io non dormivo. Mamma mia me la facevo sotto. Era capitato spesso che nel lettone cercasse il contatto, e così io mettevo mia madre nel mezzo e dormivo dall'altro lato». Luna ha riletto la sua storia pubblicata su Geniodonna. E, con l'innocenza di quelle guance incapaci di non colorarsi per l'emozione, ti spiega stupita: «L'ho letta come fossi un'estranea. Ha colpito anche me. L'ho letta con mia madre e abbiamo pianto. Poi mi sono detta: ma davvero l'ho scritta io?». Per la prima volta dopo 22 anni, Luna sembra aver adocchiato il domani davanti al lei. «Ho un progetto: riprendere a studiare, finire le superiori e poter poi aiutare chi sta male: le donne, i bambini, le adolescenti che soffrono. Come volontaria, per ora. Poi, chissà». E il sogno? Luna guarda il mensile, dove c'è il suo racconto. E risponde: «Scrivere».
Paolo Moretti

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