Arrighi, fissato il processo
Rischia trent'anni di carcere

Trenta dicembre, un giovedì. È la data fissata, forse un po' a sorpresa, per la prima udienza del processo nei confronti di Alberto Arrighi, il negoziante di via Garibaldi accusato dell'omicidio del socio, vero o presunto, Giacomo Brambilla. Sarà la prima di un numero ancora incerto di udienze, due, forse anche tre.

COMO Trenta dicembre, un giovedì. È la data fissata, forse un po' a sorpresa, per la prima udienza del processo nei confronti di Alberto Arrighi, il negoziante di via Garibaldi accusato dell'omicidio del socio, vero o presunto, Giacomo Brambilla. Sarà la prima di un numero ancora incerto di udienze, due, forse anche tre. Di sicuro c'è che l'avvocato che assiste l'ex armaiolo, il legale Ivan Colciago, chiederà il cosiddetto rito abbreviato: è una formula che consente all'imputato di garantirsi un cospicuo sconto di pena, ottenibile dopo avere concesso il proprio assenso ad essere giudicato sulle sole carte dell'accusa. Lo sconto è di un terzo rispetto alla pena cosiddetta edittale, cioè al massimo previsto dal codice per quel determinato reato. In altre parole, se la pena è di 30 anni, la condanna - nel caso in cui l'imputato sia riconosciuto colpevole - sarà di venti.
A prescindere da eventuali sconti, Arrighi rischia comunque moltissimo: la Procura della Repubblica (nella persona del pm Antonio Nalesso, lo stesso impegnato in questi giorni nell'Assise per il delitto del cosiddetto furgone giallo, la cui sentenza è attesa proprio per questa mattina) gli contesta un omicidio pluriaggravato dalla premeditazione, unito al reato di distruzione di cadavere, quest'ultimo condiviso con il suocero Emanuele La Rosa. Sulla carta è un reato da ergastolo, che - se l'impianto accusatorio dovesse reggere anche di fronte al tribunale - potrebbe convertirsi, con il rito abbreviato, in una condanna a trent'anni. In realtà, come noto, sarà una autentica battaglia: perché la difesa dell'armaiolo di via Garibaldi è bene intenzionata a convincere il tribunale della assoluta mancanza di una effettiva preordinazione del delitto, che fu al contrario commesso d'impeto, nel pieno di un accesso d'ira, in un raptus tanto "invasivo" dall'aver condotto Arrighi fin sulla soglia di una sorta di incapacità di intendere, di un blackout, di quel cortocircuito mentale di cui parlò Adolfo Francia, lo psichiatra e criminologo che, per la difesa, analizzò la mente dell'imputato. Sull'altro fronte c'è la famiglia della vittima, la moglie, il figlio, i genitori e i fratelli di Giacomo che, assistiti dagli avvocati Anna Maria Restuccia e Fabio Guldi, cercheranno di sostenere le conclusioni della Procura, ribadendo premeditazione ed efferatezza, oltre che una piena capacità di intendere già certificata dagli psichiatri consulenti della Procura.
Brambilla, lo ricordiamo, fu ucciso il primo febbraio scorso, un lunedì. Morì nel retrobottega del negozio di Arrighi per ragioni mai del tutto chiarite, se non per il tramite del solo testimone, l'omicida appunto. Questi disse di avere reagito a una battuta del suo interlocutore, una battuta "infelice" giunta all'apice di una furibonda discussione per la titolarità del negozio. L'assassinio fu per intero ripreso dalle videocamere di sorveglianza interna dell'armeria, che mostrarono il negoziante avvicinarsi a Brambilla mentre questi gli dava le spalle avviandosi verso l'uscita:Arrighi sparò due volte con la sua arma da tiro a segno, poi una terza con la pistola che Brambilla stesso portava alla cintura. Appuntamento in aula il 30 dicembre.
St. F.

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