Amianto in Ticosa, assolto Binda
Ma il giudice riapre l'inchiesta

Roberto Binda, titolare dell'impresa che ha triturato le macerie della vecchia Ticosa contenenti amianto è stato assolto ieri in tribunale a Como. Ma la storia giudiziaria della ex tintostamperia non si chiude. Il giudice Carlo Cecchetti ha infatti disposto la riapertura delle indagini, questa volta a carico del legale rappresentante della società Environ Srl, a cui era stata affidata la redazione del piano di bonifica dell'amianto

COMO Roberto Binda, titolare dell'impresa che ha triturato le macerie della vecchia Ticosa contenenti amianto è stato assolto ieri in tribunale a Como. Ma la storia giudiziaria della ex tintostamperia non si chiude. Il giudice Carlo Cecchetti ha infatti disposto la riapertura delle indagini, questa volta a carico del legale rappresentante della società Environ Srl, a cui era stata affidata la redazione del piano di bonifica dell'amianto.
Ma andiamo con ordine. Ieri mattina a palazzo di giustizia si è svolta la quarta (e ultima udienza) con Binda sul banco degli imputati. La ditta di cui è legale rappresentante era stata incaricata, nel 2007, di affiancare la Perego Strade (quest'ultima impegnata nell'abbattimento, l'altra nella triturazione dei rifiuti) sul cantiere della Ticosa, e Binda doveva rispondere dell'accusa di inosservanza delle prescrizioni in materia di gestione dei rifiuti. E, in particolare, per aver sbriciolato i resti della fabbrica tessile nonostante la presenza di amianto e senza le dovute precauzioni. Nelle prime tre udienze erano stati sentiti il dirigente dell'amministrazione provinciale Franco Binaghi, il geologo dell'Arpa Beatrice Melillo, il sindaco Stefano Bruni, la dirigente dell'Asl Cristina Peverelli e il maresciallo dei carabinieri del Noe Nuccio De Paolis («nessuno ha mai controllato la guaina sul tetto» aveva dichiarato al giudice). Ieri il pm Errante Parrino ha chiesto la condanna a 10mila euro di multa per Binda, ma il giudice Carlo Cecchetti ha accolto la tesi della difesa, rappresentata dall'avvocato Michele Parravicini, che aveva sempre sostenuto che la società altro non era che l'ultimo anello della catena e che nessuno degli enti preposti aveva indicato la presenza di amianto nella macchina trituratrice. È stato proprio Parravicini a far leva sulle possibili responsabilità di Environ che, nel primo rapporto, aveva messo per iscritto di non aver potuto controllare alcune zone dell'area Ticosa (c'era il corpo a C e intorno vegetazione dappertutto) per l'impossibilità di accedervi. Parravicini ha detto al giudice di verificare se fosse il caso di «rimettere gli atti alla procura per verificare se a monte ci siano state negligenze. Fattualmente le sostanze speciali con amianto non sono piovute dal cielo, ma provenienti da quei fabbricati. Qualcuno ne sarà responsabile». E le sue richieste sono state accolta entrambe. Il giudice ha anche ritenuto di trasmettere gli atti alla procura per ulteriori indagini volte ad accertare eventuali responsabilità di Environ.
La storia dell'amianto in Ticosa, quindi, torna di nuovo sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti. Il 2007 era appena iniziato, quando il Comune rassicurò la città nonostante le proteste e le richieste di ulteriori analisi provenienti da alcuni consiglieri di minoranza: «Tutta l'area Ticosa  interessata dagli abbattimenti - dissero da Palazzo Cernezzi - è priva di presenza di amianto in superficie». Poi, il 27 gennaio, l'avvio dell'abbattimento della vecchia fabbrica con i fuochi d'artificio. Mentre una parte di detriti finiva nel trituratore di Binda la centralina dell'Arpa rilevò un picco dei valori d'amianto e scattarono i primi controlli che portarono anche al sequestro dei detriti su ordine della procura lariana. Le analisi del materiale portò alla conclusione che nei detriti era presente amianto crisotilo e vennero catalogati come «rifiuti speciali non pericolosi». A febbraio del 2008 vennero smaltiti in una speciale discarica vicino a Novi Ligure. L'inchiesta della procura sfociò nell'archiviazione, tranne che per Roberto Binda, unico imputato. Adesso si riparte con la trasmissione degli atti di nuovo alla procura per ulteriori indagini.Questa volta per capire perché nessuno si sia accorto di quella guaina contenente amianto crisotilo.
Gisella Roncoroni

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