La mamma di Claudio Corti
"Ringrazio Dio quando torna"

La signora Wanda, madre del pilota di moto comasco, parla della sciagura di Simoncelli. "Appena l'ho saputo ho pensato ai suoi genitori"

COMO «Stasera torrnerà a casa e io come sempre ringrazierò Dio».Quando il dramma di Simoncelli si è compiuto, a vedere le immagini disperate del papà Paolo e della fidanzata Kate, e l'impenetrabile figura della mamma Antonella mentre parla con i carabinieri che gli stanno notificando il decesso del figlio, il pensiero di molti è corso anche a loro: i genitori dei piloti.
Gente che finisce al traino della passione del figlio, come attaccati con una fune a una giostra da 300 all'ora, un tritacarne di emozioni. Gioia, paura, tifo, angosce e speranze mischiate in un frullatore al centro del petto. Fanno sacrifici, si indebitano per far correre i figli, li accompagnano alle corse, stanno là in fondo schiacciati contro la parete del box, con gli occhi fissi al monitor dei tempi, magari vestiti con gli abiti ufficiali della squadra, tanto che li confondi con tecnici o manager. Ma li tradiscono quelle dita incrociate, quell'attesa frenetica di notizie che è disegnata in uno sguardo tremante. Uno sguardo che parla.
Uno di quei genitori ce l'abbiamo qui a due passi. Sul Lario, la famiglia di Claudio Corti, impegnato nel motomondiale, classe Moto2, uno che domenica è volato via, investito per fortuna in modo non cruento dalla moto di un altro concorrente. Papà Pino e mamma Wanda lo hanno accompagnato dai tempi delle minimoto, al motomondiale. I sacrifici, i viaggi, il camper, la gioia. E la paura. Mestiere difficile: «Ho visto l'incidente - racconta la signora Wanda -. E' stato tremendo. Ho pensato subito ai genitori di Marco. Immagino cosa possano provare in questo momento». Già essere genitori è, per certi versi, angosciante. Ma come si convive con una situazione del genere, con un figlio lanciato a 300 all'ora? «Se al figlio viene una passione del genere, hai due strade: assecondarlo o mettergli i bastoni tra le ruote. Ma il discorso fondamentale è che è la loro vita, la loro passione. Può essere paradossale, ma aiutarli in questa professione rischiosa è un atto d'amore».

Leggi l'intervista su "La Provincia" del 25 ottobre

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