Tirare in lungo sull'orlo del baratro

Tutto in 48 ore. Ma 24 se ne sono già andate e sull'agenda chiesta, pretesa anche con termini irridenti e poco rispettosi da Bruxelles e dai partner più forti dell'Unione, non ci sono buone nuove. Anzi, le notizie sono cattive, pessime. Non tanto e non solo per il governo, ma per l'Italia intera, per noi tutti.
Il consiglio dei ministri straordinario, che doveva varare misure strutturali per salvare il nostro Paese dall'effetto-Grecia - ormai conclamato nonostante i disperati tentativi di governo e maggioranza di negarlo - si è risolto in un nulla di fatto. La Lega ha detto di no e ha alzato le barricate sulla riforma della previdenza, con l'innalzamento dell'età forse fino a 67 anni. E Berlusconi, nonostante i ripetuti incontri ha dovuto cedere. Ci riproverà oggi, altrimenti arriverà a Bruxelles a mani vuote o con una road map di buone intenzioni, il che è la stessa cosa. A quel punto saremo ufficialmente un Paese più incapace di Atene nello scegliere e decidere. E speriamo che stavolta la Merkel e Sarkozy ci risparmino almeno le risatine.
Lo scenario è fra i peggiori mai visti dal '92 in avanti, da quando Amato fece il prelievo notturno sui conti correnti. Oggi siamo ben oltre l'orlo del baratro, ci siamo sospesi sopra, in bilico su un filo esile.
Eppure sembra che non tutti se ne rendano conto. A Roma come, in parte, in una fetta ancora ampia del Paese. Le manovre già approvate, quelle estive e quella di primavera, hanno previsto di rastrellare da qui al 2013-2014 quasi 100 miliardi di euro, prevedendo di toccare capitoli come il welfare e le esenzioni fiscali finora mai messi in discussione in maniera così pesante.
Ma ancora non basta. I nostri 1.900 miliardi di debito ci tirano a fondo e per questo, prima con la lettera della Bce di agosto tenuta nascosta fino a qualche settimana fa e ora con l'ultimatum di domenica della Ue, servono misure strutturali. Altrimenti il pareggio di bilancio previsto per il 2013 dal governo, con un tasso di crescita più vicino allo zero che a un misero 1%, non sarà raggiunto.
Eppure ieri dai palazzi del governo non è uscito altro che un imbarazzante elenco di ipotesi di provvedimenti che assomigliano molto a un tentativo di svuotare il mare con un cucchiaino. Norme che se attuate, forse con l'unica eccezione degli sconti sull'apprendistato o le assunzioni facilitate per giovani e donne, provocherebbero una risata, stavolta sonora e irrefrenabile, forse non solo a Bruxelles. Soprattutto quelle che, prevedendo pesanti ritocchi al patto di famiglia che regola la trasmissione delle società a più figli, gettano un'ombra su un diretto conflitto d'interesse del presidente del Consiglio, alle prese in casa sua, con il futuro del suo impero televisivo.
Per non parlare dell'ipotesi di ben 12 condoni-sanatorie (compresa quella esilarante dei canoni Rai non pagati e annullabili con 50 euro), smentita dal governo, ma che dai dettagli emersi dev'essere stata messa sul tavolo sperando per l'ennesima volta di evitare il redde rationem con le scelte vere e attese da mezza Europa.
Tremonti e il premier fino a giugno negavano il contagio della crisi, il ministro evocava il Titanic come uno spauracchio della solita sinistra. Oggi il titolare del Tesoro non parla quasi più, nel governo è all'angolo, il suo "tenere fermi i conti" è una diga che ormai non tiene più. E i suoi colleghi sembrano ballare sulla tolda mentre l'orchestra continua a suonare.

Umberto Montin

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