Il premier Sansone Gli italiani filistei

Chi si ricorda del portavoce del governo iracheno che, durante la seconda guerra del Golfo, negava la presenza americana con i carri armati Usa sullo sfondo? Quasi spicciata a Silvio Berlusconi ieri, durante la conferenza stampa del G20. La crisi? Non esiste (ci ha risparmiato l'idea dell'invenzione da parte dei magistrati e i comunisti). I ristoranti sono pieni e sugli aerei non c'è posto (sarà gente che lascia l'Italia?). Il governo non è a rischio e non ne serve uno di larghe intese.
Mancavano la trota di un metro e mezzo e l'orso affrontato a mani nude. Ciliegina ma non troppo, sulla torta: nella diretta su Sky accanto al premier compariva l'indice di Borsa in diretta. Ebbene mentre il Cavaliere parlava, il valore continuava a scendere. Il tutto al termine di un vertice mondiale in cui il nostro presidente del Consiglio somigliava a Peter Sellers nel mitico film «Hollywood Party». Nonostante i suoi tentativi di infilarsi nei capannelli era elegantemente snobbato dagli altri leader politici.
Questi flash basterebbero a smentire chi sostiene che la crisi italiana è indipendente dal governo e dal premier. Non è così. E sembrano averlo capito anche i pasdaran del Cavaliere: quelli che hanno fatto finta di credere persino che Ruby fosse davvero la nipote di Mubarak e probabilmente pensano ancora che sia Gesù Bambino a portare i doni a Natale.
A Berlusconi, però, non credono più. In un clima non da 25 ma già da 26 luglio, anche Paniz, Stracquadanio e compagnia zelante hanno realizzato che questo governo non ha futuro, si sono sfilati e strizzano l'occhio all'Udc. Il sole dell'avvenire si chiama Casini che forse già sta abbozzando il discorso di insediamento al Quirinale una volta terminato il faticoso settennato di Napolitano.
Ma il Cavaliere non vuole sentirci. L'Italia è commissariata, monitorata, sorvegliata e disprezzata anche per la chiara impotenza di questo governo ad approvare uno straccio di riforma strutturale, per l'insanabile conflitto tra Berlusconi e Tremonti. Il presidente del Consiglio non si arrende neppure davanti all'evidenza e riparte nella caccia al voto in quel Suk in cui si è trasformato il Parlamento. Magari porterà a casa i radicali, forse riuscirà a sedurre qualche altro peones alla Scilipoti in cerca del suo quarto d'ora di celebrità. Sarà però sempre una navigazione a vista.
Del resto, il piano del Cavaliere e del suo sodale Bossi è chiaro. Il governo deve tenere botta almeno sino a dicembre per andare a elezioni nel 2012 con questa legge elettorale.
Il porcellum, infatti, è minacciato da un referendum destinato a un prevedibile successo. Se la norma cambierà, non sarà più possibile per i leader dei partiti scegliere di fatto gli eletti attraverso l'assegnazione dei posti in lista. Ed è quello che intendono fare il premier e il Senatur per regolare i conti con l'opposizione interna.
Quanto tutto questo calcolo abbia a che fare con la via d'uscita da quella che il presidente Napolitano ha definito la più grave crisi dal dopoguerra, non si sa. Ma pare non importare a un Berlusconi Sansone con gli italiani negli scomodi panni dei filistei.

Francesco Angelini

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