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Lunedì 06 Febbraio 2012
Tagliò la testa a Brambilla
Ora vuole lo sconto di pena
«Troppi 3 anni e 5 mesi», ed Emanuele La Rosa fa ricorso in Cassazione. Il procuratore: inammissibile
COMO - Sei mesi di carcere. È tutto quello che Emanuele La Rosa sconterà - o, meglio, ha già scontato in custodia cautelare - per aver aiutato il genero Alberto Arrighi a decapitare un uomo e per aver poi tentato di eliminare la testa mettendola nel forno della sua pizzeria di Senna Comasco. Difficilmente le porte della prigione si riapriranno per lui, eppure il padre di Daniela La Rosa (la moglie di Arrighi), ha presentato un ricorso in Cassazione per pretendere uno sconto della pena che lui stesso ha patteggiato con l'accordo della Procura.
È stata fissata per il 21 febbraio prossimo l'udienza nelle aule del Palazzaccio di Roma, dove i legali di La Rosa, 69 anni, tenteranno di abbassare la pena a tre anni e cinque mesi di reclusione per il vilipendio e l'occultamento del corpo di Giacomo Brambilla.
In punta di diritto i difensori dell'uomo che, per dirla con le parole del giudice che ha ratificato il patteggiamento, «sorprendentemente si prestò ad aiutare il genero nel suo truce progetto di decapitare il morto per potere bruciare la testa nel forno della pizzeria e di disperdere il corpo in un dirupo a Crevaladossola, in provincia di Domodossola», contestano un presunto vizio di forma nel calcolo della pena. Sostengono, gli avvocati, che quando il reato di vilipendio concorre con quello di occultamento non dovrebbe essere contestata la cosiddetta continuazione, che prevede un aumento della pena.
Leggete l'approfondimento su "La Provincia" in edicola oggi (lunedì 6 febbraio 2012)
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