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Martedì 23 Giugno 2009
La Ticosa non c’è più
I disperati ci vivono ancora
Reportage nell'ex tintostamperia. Nonostante l’abbattimento, rimane il simbolo di degrado e sporcizia. Polacchi, rumeni e magrebini si sono divisi le zone dove accamparsi
Ecco dov’è finito l’idraulico polacco, simbolo della calata in Occidente di lavoratori dell’Est Europeo. E’ finito tra i rifiuti, sotto il ponte di via Grandi, in Ticosa, tra l’ambrosia, i cespugli selvatici e le serenelle che hanno vinto l’asfalto e la terra battuta, sacchi neri pieni di pattume, sacchetti dei supermercati gonfi di scarti, immondizia sparsa, stracci e scarpe spaiate, bacinelle incrostate, pentole nere, assi fatti carbonella, taniche per procurarsi l’acqua, torsoli di mela, bucce di banana e il cane Bobo, bastardino spazzolato ogni mattina come fanno i signori.
Polacchi sotto il ponte, comunitari, cittadini europei, hanno preso il posto di tutti gli altri esseri umani che per anni hanno alloggiato nella fabbrica dismessa e, abbattuto il corpo a C, si sono rifugiati sotto la strada, cartoni per riparo e coperte che ogni tanto lavano pure, le mettono a bagno come mettono a bagno tutto, si lavano anche loro e si spruzzano pure il deodorante: ieri mattina, profumavano come manager appena sbarbati. «Non bisogna andare in giro a puzzare», ha detto il più giovane. In giro, dove? «A Porta Aperta della Caritas a ritirare il buono doccia. Una doccia nei bagni pubblici costa 3,50 euro. Non ce li possiamo permettere», ha spiegato. Con il suo connazionale, aveva appena fatto colazione, brodaglia marrone, calda. Per scaldarla, hanno preso un pezzo di legno, l’hanno acceso, più fumo che fuoco, hanno messo l’acqua in un pentolino che ha conosciuto stagioni più brillanti, hanno versato l’acqua in un piatto di ferro e dentro ci hanno messo la pasta cinese, sopra un piatto di ceramica perché la pasta cinese cuoce in ammollo. Il più anziano ha 40 anni: lavorava in Germania come autista, ha avuto un incidente, ha un ferro in un braccio e uno in una gamba, in Germania non poteva più lavorare ed è arrivato a Como.
Piange e tira su con il naso, mentre il suo compagno parla e racconta di sé: «Quattro mesi fa, mi hanno detto che a Como c’era lavoro. Vado dal datore di lavoro, in un cantiere e mi dice: due euro all’ora per dieci ore al giorno. Ma come faccio? Con venti euro al giorno non mi pago una stanza, non mangio. È così o è niente, dice il padrone. Niente, vado a cercare da un’altra parte, non trovo e perdo anche l’occasione da venti euro, perché se uno dice di no, si fa sotto un altro». Non c’è modo per verificare se sia andata proprio così. «La carità te le fanno. Vengono anche i ragazzi della Caritas a trovarci, ma noi cerchiamo un lavoro. Tra qualche giorno, vado a Rimini, lavorerò come cameriere al posto di un amico di Bologna. E qui arriva un altro amico mio». C’è già il posto prenotato, la voce circola. L’altra sera, erano ai giardini a lago, hanno notato una coppia polacca dormire sulla panchina e le hanno offerto un tetto in via Grandi, almeno non si sarebbero inzuppati d’acqua in caso di temporale. La coppia ha gradito, s’è sistemata sotto via Grandi e ieri mattina ha cominciato a girare per la città, Porta Aperta, la mensa di via Tatti e di via Tommaso Grossi, il centro diurno di via Giovio, camminano e camminano, sono polacchi, vorrà pur dire qualcosa, pensano di aver la precedenza sugli extracomunitari. A lei piacerebbe fare la lavapiatti ed è per questo che s’è cambiata, ha messo la biancheria sporca in un catino, nell’acqua che il sole scalda. È finito il detersivo, tra l’altro. Il grande piazzale dove sorgerà il nuovo quartiere, è diviso in tre: i polacchi sotto il ponte; una famigliola rumena nella ex centralina, quattro persone, due ragazzi adolescenti che vanno a scuola d’italiano, i magrebini sotto le frasche contro il cimitero. Sono una decina, i magrebini, restano qui di notte e di giorno vanno. Chissà dove.
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