Il discorso di Sant'Abbondio
Coletti: dialogate di più

In tre anni monsignor Coletti ha imparato a conoscere Como e ne ha scoperti aspetti positivi e negativi: "Mi ha sempre colpito nei comaschi la volontà tenace di lavoro e di impegno, la stragrande maggioranza della gente è profondamente sana e onesta"

Como - Terzo Sant’Abbondio per il vescovo Diego Coletti che, per dare più peso al discorso alla città (ai comaschi, ma anche agli amministratori locali), lo ha anticipato di un giorno rispetto alla festa del patrono, fissata nella giornata di oggi dal calendario. E in tre anni monsignor Coletti ha imparato a conoscere Como e ne ha scoperti aspetti positivi e negativi: «È ancora presto. Per conoscere a fondo una città bisogna viverci, amarla e servirla più a lungo. Azzardo. Mi ha sempre colpito nei comaschi la volontà tenace di lavoro e di impegno, la stragrande maggioranza della gente è profondamente sana e onesta, nelle proprie responsabilità culturali, amministrative e professionali. Quello che manca è un po’ di vivacità culturale. Ci sono ottime iniziative, come Parolario in corso in questi giorni, ma nell’insieme manca un dibattito forte e aperto e una certa capacità di confronto e dialogo. Me lo dicono anche altri, serve una prospettiva su cui lavorare: nel mio piccolo cercherò di stimolare questa prospettiva. Chi ci sarà vedrà».
In chiesa, sotto le volte della basilica di Sant’Abbondio, ha dato qualche accenno delle 16 pagine che compongono il suo messaggio ai comaschi intitolato «un lavoro buono e intelligente per lo sviluppo integrale di ogni persona umana e di tutta l’umanità». Monsignor Coletti ha parlato di crisi economica, che non può essere affrontata solo con l’obiettivo di aumentare i punti del Pil, ma che richiede anche «il recupero della condivisione, della fraternità, dello spirito sociale, del bene comune». E ha lanciato anche un messaggio con un paragone: «È come se si progettasse la costruzione di una casa o di un intero quartiere della città facendo riferimento soltanto alle leggi, sempre più sofisticate e perfezionate, che riguardano il calcolo dei cementi, la stabilità, le norme antisismiche, le caratteristiche statiche e dinamiche dei materiali da impiegare nella costruzione…, tutt’al più aggiungendo qualche considerazione finanziaria sul profitto ottenibile dall’intera operazione, ma senza occuparsi del motivo fondante e della chiave di volta di tutto il progetto; cioè senza domandarsi il perché e la finalità ultima di quanto si sta facendo. Quale casa costruiremmo se la nostra unica preoccupazione fosse quella di renderla solida o di guadagnarci di più? Quale città uscirebbe dai nostri programmi urbanistici se non mettessimo alla base della nostro progettare la verità piena della vita umana, i suoi valori, le sue esigenze affettive, le condizioni ottimali del lavoro, del tempo libero, di una sana convivenza sociale?». Senza un senso, «tutta la costruzione risulta fragile e sta in piedi soltanto fino a che serve a “qualcuno”, essendo tutti “gli altri” solo strumento dell’interesse di costui». Infine, nella sua lettera ai comaschi ha trattato il tema dell’evasione fiscale e lui stesso ha auspicato una riflessione «per ripensare in modo abbastanza progondo alla figura e ai compiti dell’imprenditore, dell’amministratore e del soggetto detentore di autorità politica»: tutti dovrebbero mettere al centro la persona e pensare meno ai propri interessi particolari agendo così per il bene comune.
Gisella Roncoroni

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