Dadone, scale mobili "oscuranti"
Sono nuove ma già rottamate

Nonostante le dimensioni, chi passa in auto lungo via Ambrosoli le intravede appena attraverso una cancellata, subito dopo l’Esselunga. È dalle terrazze del Dadone e, soprattutto, dal sovrappasso che collega quest’ultimo con la sede dell’università e la stazione di Como Borghi "sorvolando" il Cosia, che l’inusuale "deposito" salta agli occhi

COMO Che cosa ci fanno quattro scale mobili di dieci metri ciascuna abbandonate, da anni, in un fazzoletto di terra accanto ai binari delle Nord, nei pressi del parcheggio Ippocastano?
Nonostante le dimensioni, chi passa in auto lungo via Ambrosoli le intravede appena attraverso una cancellata, subito dopo l’Esselunga. È dalle terrazze del Dadone e, soprattutto, dal sovrappasso che collega quest’ultimo con la sede dell’università e la stazione di Como Borghi "sorvolando" il Cosia, che l’inusuale "deposito" salta agli occhi. Non si tratta di una discarica abusiva, per il semplice fatto che quel pezzo di terra è di proprietà di Pessina Immobiliare, che ha costruito il gigantesco immobile e ancora ne detiene diverse quote, mentre altre sono state vendute a terzi. Semmai, oltre a essere un pugno nell’occhio, le scale mobili abbandonate sono la spia di una vicenda paradossale oscurata dalle più significative, e ben note, vicende giudiziarie (abuso edilizio e successiva sanatoria) che contraddistinsero la nascita del Dadone.
«Nel progetto originario - spiega Maurizio Critelli, amministratore di Pessina Immobiliare - due scale mobili dovevano essere collegate alla torre che insiste sul parcheggio Ippocastano e le altre due a quella che porta al Setificio e al Museo della seta». Praticamente, avrebbero dovuto rendere più agevole l’accesso al sovrappasso, attualmente garantito dalle scale tradizionali e da un ascensore. «Ma l’amministrazione comunale non ha autorizzato l’installazione delle scale mobili per ragioni paesaggistiche - riferisce Critelli -. Se non ricordo male, perché oscuravano la vista del Baradello. E anche l’amministrazione provinciale, proprietaria del Setificio, non si dimostrò interessata». Quindi, «fino a due anni fa - continua l’amministratore di Pessina Immobiliare - abbiamo aspettato che ci fosse un ripensamento. Ma a questo punto abbiamo dovuto dare incarico a un’azienda specializzata, la Colombo Spa, si smantellarle e buttarle via». Quanti soldi sono stati sprecati? «Un miliardo di vecchie lire - risponde Critelli -. Erano state costruite su misura, tenendo conto non solo della lunghezza ma anche dell’inclinazione necessaria, e non si possono riutilizzare altrove. Peccato, perché l’amministrazione non avrebbe avuto costi: oltre all’acquisto, anche la manutenzione sarebbe stata a carico nostro».
Dopo sette anni, le scale mobili sono state disimballate, ma solo per finire in discarica. Ieri, dal sovrappasso, si vedevano due operai intenti a smontare gli scalini. «Cerchiamo di recuperare alcune parti riutilizzabili», precisa Critelli.
Pietro Berra

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