Bacon, l'uomo tra dolore e follia

A Palazzo Reale di Milano in mostra l'avventura artistica del pittore inglese. Esposte un'ottantina di tele, tra documenti e disegni che hanno segnato un tormentato percorso creativo

Ci eravamo fermati al 1993. Fu in quell’anno che al Museo d’arte moderna di Lugano si tenne un’indimenticabile antologica dedicata a Francis Bacon, uno degli artisti icona della seconda metà del Novecento, giunta a un anno dalla sua scomparsa, avvenuta a Madrid nel 1992. Da allora, infatti, almeno a queste latitudini, non si sono organizzate delle iniziative che consentissero di ripercorrere e godere delle suggestioni del maestro irlandese, salvo l’eccellente esposizione del 2004 alla Fondazione Beyeler di Basilea.
Tocca quindi a Milano e a Palazzo Reale, in anticipo sulle celebrazioni del centenario della nascita del 2009 - che vedranno alternarsi dei grandi appuntamenti espositivi alla Tate di Londra, al Prado di Madrid e al Metropolitan di New York - riparare a questo debito formativo. E per farlo, gli organizzatori hanno scelto di mantenere la stessa alchimia della mostra ticinese, chiamando Rudy Chiappini, allora direttore dell’istituzione luganese, a curare il progetto scientifico di questo evento (Catalogo Skira). E il risultato è sicuramente riuscito. La mostra è senza dubbio esaustiva, in grado di ripercorrere l’avventura artistica di Francis Bacon attraverso un’ottantina di olii su tela, quindici disegni e materiale d’archivio.
Il percorso espositivo si dipana dallo studio di Bacon nel South Kensington di Londra, riportato a Milano grazie a una sala in videoproiezione che rimanda tutte le atmosfere confuse e caotiche che si potevano vivere in quella stanza, che si scontravano con il maniacale ordine della cucina e della camera da letto. E dal suo studio provengono documenti, finora inediti in Italia, come disegni, foto, appunti e altro, che forniscono importanti e suggestive indicazioni per scoprire le sue fonti ispiratrici.
Assolutamente autodidatta, Bacon rimase, fin dalla sua gioventù, indipendente da ogni corrente artistica. I suoi esordi sono in realtà segnati dal tentativo di affermarsi come designer e arredatore. Il paravento e l’arazzo, esposti a Milano, rivelano una certa influenza del tardo cubismo e, soprattutto, del lavoro di Pablo Picasso, dalla cui arte rimase folgorato durante il suo soggiorno a Parigi, intorno al 1926. Suggestioni che ritornano nelle tele del secondo dopoguerra, i cui esiti formali risentono della vicinanza del quasi coetaneo Graham Sutherland, col quale intrecciò un intenso rapporto di amicizia. In particolare, "Studio di figura II" raccoglie in nuce quelle che saranno le tematiche che esplorerà nella sua successiva carriera di pittore, come l’enigmaticità della figura umana dalla bocca spalancata in un urlo, o l’estrema schematicità dell’ambiente che sembra trasformarsi in una gabbia, che rappresentano solo gli abbozzi di una pittura esistenziale che segnò profondamente il suo fare artistico.
Altro punto cardine dell’esposizione milanese è il rapporto ossessivo di Bacon con il "Ritratto di Innocenzo X" di Velazquez, uno dei quadri più perfetti della storia dell’arte. Bacon, ateo convinto, offrì numerose spiegazioni per la sua ossessione per i papi, di cui soffriva la potenza dell’immagine e quella del ruolo di un uomo posto, per volontà divina, sopra gli altri uomini. <+CORSIVO>Pope I<+NERO><+TONDO>, del 1951, proveniente dal museo di Aberdeen, è solo uno dei tanti ’papi’ - in questo caso non è più Innocenzo X, ma Pio XII sulla sedia gestatoria -, capolavori assoluti cui l’artista affidò il ruolo di rappresentare la metafora dell’umana condizione, tra disperazione e follia.
La serie dell'"Uomo in blu" caratterizza l’attività di Bacon degli anni Cinquanta. Sono per lo più ritratti di amici o su commissione. Sono figure spettrali, misteriose e sinistre che si confondono e si sfocano su un fondo oscuro che nega la perfetta definizione delle sembianze.
Più chiare e definite sono le figure degli anni Sessanta, cui dona luminosità e volume. Sono gli amici più sinceri come Henrietta Moraes, Isabel Rawsthorne, George Dyer, o il grande pittore Lucien Freud, col quale strinse un rapporto di grande stima.
Il percorso espositivo dà poi conto della serie dei trittici, caratteristici della sua fase più matura, negli anni Settanta. È qui che Bacon si immerge nelle profondità dell’animo umano. Le sue sono figure anonime che, ingabbiate da una struttura a gabbia, urlano il loro dolore e trasmettono quella sensazione di inquietudine che sfocia in un sentimento di morte, di ossessione sessuale, di incapacità di vivere in una società alienante.
Gli ultimi anni, prima della sua scomparsa, sono caratterizzati da un’estrema semplificazione del linguaggio che lo portano verso una riduzione essenziale della forma, ora risolta con poche macchie di colore raggrumato in uno sfondo neutro.

Carlo Ghielmetti

Bacon - Milano, Palazzo Reale (piazza Duomo; infotel. 899.666.805); fino al 29 giugno; orari: tutti i giorni, 9.30-19.30; lunedì, 14.30-19.30; giovedì, fino alle 22.30. Ingresso intero: 9 euro. Catalogo Skira.

© RIPRODUZIONE RISERVATA