Colombo, l’arbitro filosofo: «La serie A, una scuola di vita»

Intervista E alla fine Andrea Colombo parlò. Prima intervista della sua carriera. Uno dei migliori arbitri italiani, in serie A da due anni, è comasco

E alla fine Andrea Colombo parlò. Prima intervista della sua carriera. Uno dei migliori arbitri italiani, in serie A da due anni, è comasco. Ha 32 anni. Ovviamente non potrà mai arbitrare il Como in campionato, ma tiene ogni anno un aggiornamento a tutto lo staff di via Sinigaglia.

Andrea, chi ti ha consigliato di iniziare a fare l’arbitro di calcio?

Mio cugino Raffaele arbitro internazionale di pallanuoto che parteciperà tra l’altro ai prossimi mondiali in Giappone e che mi ha spinto a iniziare un po’ per scherzo. A lui devo tantissimo.

Speravi un giorno di arrivare in serie A?

Mi hanno sempre insegnato di fare uno step per volta ma ho sempre avuto una meta lontana. Ci ho sempre sperato, ma non ci ho mai pensato perché non era scontato arrivarci. E questa è stata la mia forza.

Che pressioni ci sono ad arbitrare ad alti livelli?

Pressioni fortissime, soprattutto quando arbitri in stati enormi. All’Olimpico c’erano 63.000 persone. E poi c’è un livello di gioco velocissimo, complesso da capire e da anticipare. Trovi dei giocatori di serie A che hanno alle spalle 300/400 partite e quindi significa che hanno incontrato 400 arbitri. Devi essere all’altezza. Bisogna lavoraci anche da un punto di vista mentale.

Quindi?

Non dobbiamo sottovalutare le pressioni su noi stessi perché sono elevate e sono impossibili da riprodurre in allenamento. Da noi, rispetto agli atleti, in allenamento non puoi fare quello che fai in partita. Quindi questa cosa è complessa, ci si arriva poco per volta, a me sono servite 17 stagioni sportive per arrivare in A.

Dunque c’è una bella differenza tra un giovane calciatore e un arbitro.

Certo. Un calciatore se è bravo può fare l’esordio in serie A a 16 anni. Un arbitro a 16 anni inizia la carriera. Deve arrivare in A pronto a livello atletico, fisico, mentale. Deve arrivare maturo.

Quando eri giovane ti dicevano che eri sovrappeso e correvi poco, è vero?

E’ vero, me l’hanno ricordato anche al Premio Colosimo che mi è stato consegnato da Alberto Zaroli vice Presidente dell’Aia. Quando sono arrivato in Regione mi hanno rispedito in sezione perché non superavo i test atletici e quello è stato un bell’insegnamento perché mi ha messo davanti alla realtà e alla necessità di andare da un nutrizionista.

A proposito del Premio Luca Colosimo, lo danno ai giovani arbitri promettenti non internazionali. L’hanno ricevuto fischietti poi diventati internazionali...

Speriamo di seguire le orme dei vari Irrati, Maresca, Fabbri, Sozza.

Un incontro particolare.

Con Anthony Taylor, l’arbitro della finale di Champions League. Ci siamo visti a Bergamo, arbitrava l’Atalanta. Mi ha dato dei buoni consigli.

C’è mai stata un’occasione dove hai pensato di smettere?

Sì, a Cinisello nei dilettanti, sotto la pioggia ho preso un voto basso e mi sono chiesto se fosse il caso di continuare. E in quell’occasione è stato bravo il mio team che è sempre al mio fianco, mi ha ricordato i sacrifici che ho fatto e mi ha invitato a non mollare. L’importante è pensare sempre alla prossima partita sia quando le cose vanno bene che quando vanno male.

Nel corso degli anni, da impulsivo sei diventato più pacato e tranquillo.

Sicuramente sì. Mi ricordo che in serie C Giannocchero mi diceva che ero un arbitro di boxe, perché andavo a dividere i giocatori fisicamente. Oggi sono più riflessivo e tutto è nato da un lavoro su me stesso. Questo approccio pacato ma deciso mi aiuta a essere più credibile con i calciatori che vedono un arbitro che non si scompone e quindi capiscono che è inutile protestare.

Spesso dici di dare importanza alle piccole cose.

Assolutamente, tanti dettagli fanno la differenza. Alla fine l’arbitro migliore non è quello che non sbaglia mai, ma è quello che sbaglia meno. Da questo punto di vista Orsato per me è stato un maestro. Un trucco è quello di osservare prima il colore degli scarpini dei difensori per i contatti dopo, soprattutto in area.

Com’è la giornata tipo dell’arbitro?

Ogni arbitro è un’autodidatta che segue gli allenamenti che vengono dati da un preparatore. Serve anche una corretta dieta. Vado anche in palestra per fare potenziamento e prevenzione da infortuni, perché l’arbitro migliore non è quello che arriva primo in area ma è quello che arriva sano alla fine del campionato. Vado campo Coni per gli allenamenti con il mio preparatore Enzo Di Costanza.

Che studi hai fatto e che lavoro svolgi quando gli impegni arbitrali te lo consentono?

Ho fatto il liceo Classico Volta a Como e ho iniziato giurisprudenza all’Insubria che però non ho finito perché ho deciso di investire tutto il mio tempo nell’arbitraggio. Come lavoro, sono giornalista pubblicista. Ho iniziato a Brescia a con Confagricoltura e adesso lavoro per una società svizzera d’informatica a Chiasso dove curo tutta la parte di comunicazione.

In famiglia parli di calcio con tua moglie Petra?

Sì, lei capisce tutte le dinamiche arbitrali e mi aiuta a tenere i piedi per terra anche se non è facile stare al fianco di un arbitro che non c’è ogni weekend. Ma questo è servito per dare grande qualità al tempo.

E’ vero che l’unica persona con cui non parli di calcio è tua nonna Franca?

Si, mi guarda ogni tanto in tv e quando vado da lei parliamo di tutto tranne che di calcio. Lei è esperta di boxe.

Sei diventato papà da pochi mesi di Sveva, una grande gioia.

Lei mi ha dato il dono di saper dare le giuste priorità, prima la famiglia e poi l’arbitraggio.

Torniamo al calcio, quanto è importante il Var?

E’ importantissimo perché consente di non falsare un risultato di una partita per un errore dell’arbitro, ma l’arbitro deve comunque con coraggio prendere le decisioni.

Dalla prossima stagione verranno mandati in onda gli audio tra arbitri e Var degli episodi contestati sei d’accordo?

Sì, perché significa trasparenza. Ai nostri raduni li sentiamo, perché non farli sentire al pubblico? Non abbiamo niente da nascondere.

Unico errore che ha avuto una risonanza a livello mediatico nell’ultima stagione, il tuo tocco con il pallone in Pisa-Bari.

Sì, lì ho sbagliato perché dovevo fermare il gioco ma non l’ho fatto per una mancanza di lucidità e il mio designatore giustamente mi ha fermato.

Una carriera, quella arbitrale, in cui ci vuole anche un pizzico di fortuna sugli episodi.

Seneca diceva che la fortuna non esiste, esiste il talento che incontra l’occasione.

Che suggerimento di senti di dare ai ragazzi che vogliono iniziare.

Ci vogliono cuore, passione e bisogna crederci sempre. Adesso c’è anche la possibilità di fare arbitro e calciatore insieme dai 14 ai 21 anni e quindi è un’occasione per provare. Secondo me devono prendere questo sport anche come stile di vita. Nel senso che è importante la puntualità, l’eleganza, la capacità di relazionarsi con tutti per migliorare anche la propria comunicazione.

Como è ancora un’oasi felice ma il tema della violenza sugli arbitri è molto attuale in Italia.

Nell’ultimo anno ci sono stati più di 300 casi a livello nazionale e prendere un pugno per una partita di calcio non è bello. Il mio pensiero va quindi a quegli arbitri che hanno subito violenza: la gente deve capire che l’arbitro può sbagliare. In una partita prende circa 200 decisioni e l’errore ci può stare. Come un giocatore può sbagliare un rigore.

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