«Quattro anni di violenze
serve coraggio a dire basta»

DIOGENE / Palma Gallana è riuscita a denunciare l’uomo di cui si era innamorata, ma che a ogni scoppio d’ira la picchiava

Oggi in edicola con La Provincia torna Diogene, il settimanale delle storie, del volontariato, del terzo settore. Pubblichiamo la storia di copertina uscita nel numero della scorsa settimana.

Como

«Ti ritrovi travolta in questa spirale di violenza e, pur avendone gli strumenti, non sai davvero tirartene fuori. Io ci ho messo quattro anni ed è stata durissima. Ma ora ad ogni donna che si trova nella mia situazione dico: non te lo meriti, non te lo sei cercato, non è colpa tua. Proteggiti!».

Palma Gallana ha una voce serena ma decisa, mentre racconta di com’è caduta in trappola, di come per anni l’ha accettata e, soprattutto, di come, alla fine, è riuscita a dire: basta!

La denuncia ritirata

«Il giorno in cui ho deciso di dire basta è stato un traguardo sofferto - ammette - Avevo già fatto una denuncia un paio di mesi prima, ma poi l’ho ritirata pensando che non servisse più. E anche la denuncia era stata una piccola conquista». Anche perché non sempre trovi l’interlocutore giusto al momento giusto: «Quando andai dai carabinieri a Milano la prima volta, mi dissero: “vada a casa e veda se riesce ad aggiustare le cose. Davvero vuole denunciarlo?”. Dopo un paio di mesi, nel portare una rettifica alla denuncia, lo stesso carabiniere mi disse: “lei è convinta ad andare avanti?” e, visto che lui era uscito di casa, mi ha consigliato a rimettere la denuncia. Così ho fatto. Ma dopo qualche settimana mi ha aggredito in strada e sono finita in ospedale».

Il centro antiviolenza

La classica goccia che fa tracimare anni di dolore, silenzi, soprusi: «Il giorno più importante è stato quello in cui ho deciso di andare al centro antiviolenza. Una donna può denunciare per esasperazione, ma se non ha qualcuno che la sostiene in quel momento poi subentra il rimorso, il ripensamento e inevitabilmente si finisce per fare un passo avanti e due indietro».

A convincere Palma a rivolgersi al centro antiviolenza è stata «una carissima amica, psicologa. Mi ha detto che non potevo gestire la situazione. Che mi serviva una rete di supporto. Io mi sono decisa più per stima, che per reale consapevolezza. Ma aveva ragione lei».

La rete di cui parla Palma è composta da psicologi, assistente sociale, avvocato, volontarie con un trascorso di violenze: «La donna esita, fa resistenze: quando sono arrivata al centro ho provato un senso di liberazione. All’improvviso è uscito tutto quello schifo che avevo dentro: il pianto, il senso del fallimento, i pezzi in frantumi di quella che pensavo fosse una famiglia». Ed ecco la prima grossa verità collegata con la violenza di genere: le donne non denuncia, spesso, non solo per paura: «Ma anche per vergogna, per non sentire il fallimento di una scelta, perché pensi di poter comunque gestire la cosa, perché hai sfiducia nella giustizia e temi di fare l’ennesimo passo falso». Nelle lacrime di Palma, davanti ai responsabili del centro antiviolenza, c’era tutto questo: «Piangevo, piangevo e piangevo... in certi momenti non riuscivo neppure a parlare. Poi è subentrato il senso di sollievo e di fiducia nella giustizia. Lui alla fine è stato condannato . Per me è stata una soddisfazione non per sete di vendetta, ma perché è stato un riscatto morale. Non m’interessa se andrà o no in carcere, m’interessa essere stata in grado di dire: basta!».

Caduta nella trappola

E pensare che i segnali di pericolo Palma li aveva notati fin dall’inizio: «E io avevo tutti gli strumenti per non cascare nella trappola». È un’analisi lucida, la sua: «Se una dipende economicamente dal marito, o ha un livello culturale per sapere quali sono i propri diritti, o appartiene a una cultura in cui la donna è sottomessa, ha più alibi per giustificare il fatto di non denunciare le violenze. Ma questo non valeva per me, eppure ho deciso di non ribellarmi. ho pensato che io potevo farcela, che l’avrei salvato. Scatta la dimensione sentimentale: sei innamorata e di conseguenza perdi il contatto con la realtà. In più proietti le tue aspirazioni, i tuoi sogni e le tue aspettative su una scelta di vita che si rivela fin da subito sbagliata».

Palma perdona tutto: l’aggressività di lui, i momenti di blackout che si trasformano in botte: «Poco alla volta quel rapporto mi ha plasmato e intrappolata. Finisci per accettare progressivamente cose che a mente lucida mai avresti pensato di poter accettare». Manca la capacità di riconoscere i segnali di pericolo: «Li vedi, ma sei talmente invischiata che dici: e adesso come ne esco? Hai sopportato fino adesso puoi andare avanti». E invece vita non era. Eppure è andata avanti così per quattro anni. «Anche perché ai momenti di down facevano seguito i cosiddetti periodi di “luna di miele” in cui lui è dolce, si scusa, si dice pentito». Fino alla prossima volta

Botte e coltelli

«La violenza esplodeva per stupidaggini. Ed erano ceffoni, insulti, poi le scuse, le riconciliazioni, la tranquillità che dura fino alla lite successiva. Questo stillicidio, questa circolarità fa sì che si instauri un andamento che finisci per considerare normale». Ma non è normale essere minacciate «con coltelli da cucina, forbici da sartoria. La verità è che io ho avuto una botta di culo che non mi sia successo nulla di grave. Ma quando ho visto il coltello mi sono paralizzata: lì ho avuto davvero temuto. E soprattutto ho capito che erano in pericolo i miei figli». E l’istinto di protezione materno ha fatto il resto: «Per me avrei potuto sbattere via la mia vita, ma quella dei miei figli no. La mia amica psicologa mi ha detto: devi proteggerti se vuoi proteggere loro. Ecco qual è stata la mia molla. Il mantra che mi sono portata con me è stato: “Io sono una buona madre e sono qui per proteggermi per proteggere”. E così ho fatto».

La vita, altrove

Oggi Palma è libera. «Ogni tanto, quando torno a casa, mi guardo in giro per timore. Ho fatto un corso di difesa personale, ho lavorato sull’autostima, ho fatto un lungo percorso con la psicologa e oggi mi sento più forte e determinata e sicura di me».

Un lavoro duro, spesso doloroso, ma oggi Palma mentre parla ha la voce serena e determinata: «Mi ha molto aiutato scrivere il libro (Il prezzo delle ali - La ruota edizioni ndr) perché ho potuto trasmettere un messaggio positivo. Oggi mi rendo conto di essere stata una donna fortunata. Sono una sopravvissuta». E ora lei fa quello che altre donne uscite dal suo stesso incubo hanno fatto in passato: «Faccio cadere il seme, non importa dove, importa che finirà per incoraggiare una donna a denunciare, a ribellarsi, a rinascere. Costa dolore e fatica. Ma è così che ci si salva». E si scopre che le donne hanno dentro di loro una forza che qualunque uomo può solo sognare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA