Como, il rischio
del sistema chiuso

Il “piacere di essere causa” è un atteggiamento della prima infanzia studiato dagli psicologi.

Lo manifesta il bambino che picchia il cucchiaio sul tavolo per fare rumore, che accende e spegne la luce, che magari fa cadere per terra un piatto. Poi si cresce.

Negli adulti quell’atteggiamento si manifesta diversamente. Si può provare piacere nell’essere causa di modificazioni positive della realtà, come al termine di un buon lavoro, o quando si sono costruite buone relazioni con altre persone.

Ma c’è anche la strana deviazione in cui può cadere chi esercita un potere: l”apparatnik” che insieme ai suoi sodali dice “tanto facciamo quello che vogliamo”, il magistrato che “ha in mano” la libertà di un cittadino, il giornalista che gioca con l’altrui reputazione.

L’antidoto a questo male è la consapevolezza dell’esistenza di regole oggettive e di una rete di altri soggetti che possono sottoporre a verifica e controllo l’operato di chiunque esercita una frazione di potere.

Smarrire questa consapevolezza e chiudersi nel “tanto facciamo quello che vogliamo” e tutto-tra-di-noi, alla lunga è disastroso.

I detentori di un qualsiasi potere devono essere operosi artigiani, il cui quotidiano lavoro è sotto lo sguardo di tutti.

Quel quotidiano lavoro del quale in ogni campo la nostra terra ha fatto un culto, di cui pretende il rispetto.

Le vicende giudiziarie che investono in questi giorni l’amministrazione comunale hanno incidentalmente fatto sorgere il dubbio – a prescindere dagli aspetti tecnici giudiziari, ma a quanto pare i magistrati sono stati ottimi artigiani - che qualcuno pensasse a Como come a un tutto-tra-di-noi.

Ma se per il mondo comasco del pensiero e del lavoro i confini della città sono ormai Shanghai e San Francisco, Bruxelles e Roma, per l’apparato amministrativo locale non possono essere Tavernola e Camerlata. E se chi fa impresa, studia, investe, inventa, non ha il privilegio di poter scegliere solo interlocutori amici, nemmeno chi amministra la cosa pubblica può averlo.

Sulle pagine di questo quotidiano abbiamo letto, tra le molte, due affermazioni emblematiche e opposte. La deputata intervistata che rivela di avere da tempo promosso per la città «rapporti istituzionali con correttezza e senza strade oblique» dà un messaggio forte e chiaro, che sta all’estremo opposto di taluni degli intercettati locali che irridono le leggi e le autorità di controllo.

Al messaggio positivo della via istituzionale essi contrappongono un messaggio negativo altrettanto forte, che però non può andare a carico soltanto di chi ha pronunciato frasi infelici e rovinose: sarebbe invece utile capire se, in una partita così rilevante per la città, esistesse un’ipotetica frazione politico-amministrativa che avesse scelto e per caso volesse ancora difendere la logica del tutto-tra-di-noi.

Una logica perdente, su cui gli esami, almeno da ora in avanti, non dovrebbero finire mai.

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