Delitto perfetto
ma forse non è così

È un insieme di comportamenti singoli e reciproci a tenerci insieme con un accettabile livello di sicurezza. I comportamenti devianti devono essere prevenuti, ai più pericolosi va dedicata la maggiore attenzione.

Essere aggrediti o anche solo minacciati all’interno della nostra abitazione è un’offesa grave, non solo, eventualmente, al patrimonio, ma all’idea stessa della nostra integrità personale e familiare.

Al cittadino aggredito e minacciato non si può chiedere la massima razionalità, la si deve esigere invece da politici-legislatori e magistrati.

Nel nostro codice penale c’è uno strumento di equilibrio razionale che si chiama legittima difesa; che dal 2006 è stata fortemente rafforzata a favore di chi difende “la propria o la altrui incolumità” ma anche “i beni propri e altrui” all’interno di un’abitazione.

Peccato che ad ogni fatto di cronaca “appetitoso” in cui qualcuno spara a un ladro la razionalità vada a farsi benedire.

Si parte subito con alte strida sulla mitica “iscrizione nel registro degli indagati”.

Eppure è semplice. Gli inquirenti hanno la notizia di un morto ammazzato e sanno chi lo ha ammazzato.

Che fare? Secondo alcuni, per antipatia nei confronti del morto, dovrebbero buttare tutto nel cestino e andarsi a fare un aperitivo.

Invece (incredibile!) indagano per accertare come sono andati i fatti. E l’indagato (“iscritto nel registro degli indagati”) è chi ha sparato; e il fatto per il quale si procede, essendo stata causata da un essere umano la morte di un altro si chiama “omicidio”. Per l’indagato verrà chiesta l’archiviazione. Se c’è stata legittima difesa.

Perché può anche darsi - la realtà è complicata, a volte - che non si tratti di legittima difesa ma di una realtà manipolata. Basta rivedere “Delitto perfetto” (il film di Hitchcock del 1954 quello di Davis del 1998) oppure rileggere le cronache di qualche omicidio mascherato da altre cose.

Ma perché un cittadino si è trovato in quella situazione?

Individualmente una minaccia portata dentro un’abitazione genera risposte “forti”: la difesa del luogo e di ciò che vi è custodito si lega alla tutela estrema dell’integrità della persona e del gruppo familiare.

Dal punto di vista della difesa che lo Stato deve garantire al cittadino si deve invece pensare che qualcosa non funzioni.

Non che tutto possa sempre funzionare o che si tratti di fenomeni contemporanei: in fondo

“Sangue romagnolo” il bel racconto del libro Cuore (1886) è la descrizione di un furto in abitazione finito con una vittima.

Ma in una società più sviluppata e strutturata di quella dell’Ottocento si vorrebbero più garanzie.

I cittadini, nella loro quasi totalità, non sono per l’autodifesa privata armata: se non come rimedio all’insufficiente difesa pubblica.

Le risorse non sono infinite, a volte sono scarse: saperle gestire e distribuire bene è un dovere di chi amministra la cosa pubblica.

Ma perché ciò accada bisogna individuare – prima ancora socialmente e culturalmente che politicamente – le priorità.

Finché penseremo che il mestiere del poliziotto sia quello degli spara-spara delle varie “squadre” televisive; finché l’attenzione pubblica e delle istituzioni sarà concentrata sulle “grandi operazioni” da conferenza stampa, non faremo molti passi avanti.

La razionale difesa dei cittadini passa attraverso la valorizzazione delle funzioni meno visibili, quotidiane, di prossimità: l’Upg-Sp della Polizia di Stato, il “radiomobile” dei Carabinieri, chi opera nelle piccole stazioni o nei piccoli commissariati: quelli insomma che percorrono le nostre strade e ben difficilmente fanno conferenze stampa; ma ci possono salvare dall’irrazionalità della pistola, del bastone, del coltello da usare dentro le nostre case.

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