Il lago scippato
Per fortuna c’è Manzoni

Meno male che il Manzoni ha cominciato il suo grande romanzo con “Quel ramo del Lago di Como che volge a mezzogiorno….”, citazione con la quale ha reso celebre l’immagine di Lecco delle sue montagne in tutto il mondo, ma, con le stesse parole, ha dato alla città di Como il sacrosanto e chiaro riconoscimento dei suoi grandi valori: un timbro indelebile sulle pagine della storia. Per fortuna, dunque, ci ha pensato il grande “don Lisander” altrimenti adesso potrebbe accadere di doverlo chiamare “Lago di Sondrio”. Per i romani conquistatori fu il Larius. Poi nel Medio Evo hanno preso a vederlo come il lago di Como, riconoscendo così alla città quel ruolo di capitale che andava sempre più conquistando e di cui infine il Manzoni ha, con la sua citazione, messo nero su bianco. Adesso, momento di tempi pieni di confusione, di pensieri strani e di idee balzane, di modelli che più sono strampalati o stolti, più godono di echi assordanti e di auditòri ampi, è venuta fuori l’idea dei cantoni. Ora quindi si propone di smembrare ulteriormente quella plaga che per ragioni storiche e naturali ha Como come capitale, dividendo pure il suo lago in zone sempre più distaccate dalla città e rivolte, quanto sembra, a dominazioni che approderebbero da settentrione: come un tempo con la Riforma luterana.

Perché Como è una capitale? Perché lo dice a chiare lettere la storia. Al contrario delle altre lande che adesso stanno tirando fuori gli artigli per smembrare il territorio comasco e accaparrarsi i cantoni (con tutte le loro prebende, i loro benefici, le loro assegnazioni di posti e di emolumenti) la storia è passata e ripassata da Como, cominciando dalla preistoria della Cà Granda, poi con Giulio Cesare che la fondò, poi i Plini, le battaglie medioevali, il Barbarossa, il Giovio, poi i Magistri Cumacini, il Duomo, le famose basiliche, poi Garibaldi a San Fermo. I papi e la Chiesa che di territori e di popoli s’intendevano perfettamente per dar sostegno alla Controriforma, mandarono a Como il vescovo Ninguarda il quale comandava una diocesi immensa, comprendente tutta la Valtellina e la Poschiavina. Quella terra non era un cantone. Era quasi una nazione e aveva le sue ragioni. A Como la storia ha continuato a passare con i grandi geni del Razionalismo, la brutta pagina della fine di Mussolini e del Fascismo. E i capitani d’industria come Catelli, Ratti, i Mantero dove li mettiamo? E i divi del cinema come Clooney? E Villa d’Este dove si adunano tutti i Vip per convegni attentamente seguiti in tutto il mondo? Dove collochiamo tutto questo? Nella storia di Como, ovviamente.

Pensando ancora alla grande diocesi del Ninguarda che ragioni avrebbero in confronto adesso dei piccoli cantoni? Evidentemente quelle di creare dei centri di potere per assegnare posti agli amici degli amici. Mi ricordo che ai tempi in cui si dibatteva l’operazione tesa a creare la provincia di Lecco, un osservatore sconosciuto ma dalla testa fine, commentò: “Con due province invece di una, i politici comaschi e lecchesi non dovranno essere più costretti ad alternarsi nelle cariche a Villa Saporiti. Adesso avremo due presidenti, due giunte, due consigli, tutto doppio”.

Voglio concludere spiegando che queste mie modeste osservazioni non sono di parte, non vengono dal “campanile”. Sono nato a Como solo per capriccio di mia madre contadina ma sono brianzolo autentico. E da mezzo estraneo penso proprio che i comaschi dovrebbero farsi valere, picchiare i pugni e combattere come ai tempi del Ninguarda con una forte, sacrosanta, azione di Controriforma a questa ridicola proposta di Riforma dei cantoni.

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