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Giovedì 12 Maggio 2011
"Il test Invalsi non serve a nulla"
E a scuola abbondano le assenze
A Como nessun boicottaggio palese, ma tante proteste e qualche assenza sospetta. Ha prevalso la solita ansia da test ma c'è anche chi si è lamentato: "Viola la privacy"
Nelle scuole cittadine ha prevalso, rispetto alle proteste, la consueta ansia da test, che tende a coinvolgere un po' tutte le componenti (alunni, docenti e a volte persino i genitori), comunque in forma decisamente più lieve rispetto agli esami tradizionali. Anche perché l'Invalsi, lo dice il nome stesso, è l'Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell'istruzione, che non ha lo scopo di valutare i singoli alunni, bensì i livelli di apprendimento raggiunti nelle scuole delle diverse province e regioni italiane, che vengono quindi messi a confronto tra loro e con le statistiche europee, per individuare, e possibilmente colmare, eventuali lacune. Questa, perlomeno, è la teoria. Ma, nel concreto, molti insegnanti contestano la reale efficacia delle prove Invalsi, così come sono proposte oggi.
«Non abbiamo compreso a chi sono utili», dicono Marina Caretto, docente di Lettere alla «Ripamonti», e Antonella De Giorgi, che invece insegna Diritto alla Magistri Cumacini. «La scuola ha impiegato notevoli energie su queste prove - afferma Caretto -. Lo staff organizzativo ci sta lavorando da settimane. E anche noi insegnanti abbiamo dovuto rivedere i nostri programmi, perché le date dei test sono state comunicate solo tre mesi fa». «La correzione - aggiunge De Giorgi - impegnerà notevole parte del mio tempo, parliamo di 7-8 minuti per ogni prova, e delle mie energie. E poi alla fine gli esiti verranno strumentalizzati, come negli anni scorsi». Già, in passato sono esplose anche polemiche tra Nord e Sud: i risultati più alti ottenuti in Meridione avevano spinto lo stesso Invalsi a sospettare che lì qualche professore avesse dato degli "aiutini" agli studenti. «Non è vero - interviene Caretto - perché mi sono confrontata su questo aspetto con le mie ex compagne di università, che in gran parte insegnano al Sud, e mi hanno confermato che anche da loro le prove si sono svolte in modo regolare». I collettivi studenteschi hanno contestato anche il fatto che il questionario violerebbe la privacy. «Ufficialmente è anonimo ma in realtà è collegabile con il codice identificativo dell'alunno, conosciuto anche dalla scuola. E vengono chieste informazioni private - per esempio "con chi vivi" -. Servirebbe per capire l'ambiente di provenienza dello studente, ma non mi sembra una cosa giusta», afferma De Giorgi. Forse dipendono anche da questo le 5 assenze notate dalla Caretto in una classe della Ripamonti.
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