La città in vetrina
tra passato e futuro

Oggi, in centro, è più facile acquistare un paio di mutande firmate che un filone di pane, i caffè storici sono stati costretti a trasformarsi (perdendo molto del loro fascino) e persino il gelato sembra funzionare solo se alle spalle ha un brand capace di fare tendenza. In compenso si può passeggiare tra ali di vetrine che assomigliano a santuari del lusso dove una borsa può arrivare a costare come cinque mesi di stipendio di un insegnante. Le antiche botteghe, in città murata, si contano ormai sulle dita di una mano e in molte vie della convalle, negli ultimi anni, i negozi sono letteralmente spariti, nel senso che uno dopo l’altro hanno abbassato per sempre la saracinesca.

All’assalto di kebab e pizzerie al trancio, i comaschi con i capelli grigi non possono che contrapporre i ricordi, di quando il centro e le vie circostanti erano “tappezzate” di negozi e negozietti in cui si trovava di tutto, e c’erano pure trattorie a cucina familiare, con specialità regionali a seconda della provenienza del cuoco.

Ha fatto bene la Famiglia Comasca a dedicare una mostra ai negozi storici della nostra città perché il racconto di come sono cambiati aiuta a conoscere la Como di ieri e a comprendere quella di oggi, tribolata (ma lo era anche nel passato) e più di un tempo alla ricerca di una propria nuova identità.

Alle vetrine, ai commercianti, bisognerebbe riconoscere una particolare forma di tutela perché, al di là del peso nell’economia locale, soprattutto da essi dipende la ricchezza della vita sociale di una certa comunità.

Ci sono storie straordinarie come quella della famiglia Rescaldini, da cinque generazioni dietro al bancone del bar Principe di Ponte Chiasso. Ma molte vetrine storiche non ci sono più e il neon delle loro insegne continua a brillare solo nel paesaggio interiore di chi le ha frequentate. Chi non ricorda la drogheria Cucchi di via Boldoni o il Bellasio di via Gallio? O il Baragiola e Zeppi che era tappa irrinunciabile per tutti gli appassionati di musica? E cosa dire di Mantovani dove al posto di giocattoli e modellini oggi ci sono i vestiti di una catena di abbigliamento di proprietà cinese?

Tutto oggi cambia rapidamente e rimanere ancorati al passato non aiuta a restare a galla. Ma considerare questo mondo come un armamentario del secolo scorso buono solo per alimentare l’esercizio della memoria è allo stesso modo uno sbaglio. Si tratta di un patrimonio, di lavoro e di sapere, che merita considerazione e può essere elemento di sviluppo anche per la Como del futuro.

Il dibattito aperto da La Provincia, nelle ultime settimane, sulla trasformazione dell’area ex grossisti del mercato coperto aveva proprio l’obiettivo di richiamare l’attenzione sulle straordinarie opportunità di uno spazio che sembra fatto apposta per la valorizzazione di quanto di meglio sa offrire la tradizione artigianale e commerciale comasca. Ovviamente in un progetto rivisitato, aperto ai giovani, capace di coinvolgere ambiti ed esperienze diverse così come avvenuto tante iniziative riuscite in Italia e all’estero.

Certo, si tratta di un percorso complesso, più difficile rispetto alla possibilità di cedere la struttura chiavi in mano a un grande operatore.

Non sempre però le soluzioni semplici sono quelle migliori e a volte uno sguardo a ciò che siamo stati - basta anche una breve visita alla interessante mostra organizzata dalla Famiglia Comasca - aiuta ad assumere le decisioni migliori.

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