Ragazzina investita a Lora
La mamma: «È uscita dal coma»
Ma giustizia e assicurazioni non l’aiutano

«Le ho tenuto la mano e letto i suoi libri preferiti per tre mesi. Poi ha riaperto gli occhi»

Per tre mesi le ha tenuto la mano. Le ha letto libri in italiano e in inglese. Le ha fatto ascoltare la musica che sua figlia conservava gelosamente nel suo iPhone. E ha pregato che riaprisse gli occhi. Ricominciasse a parlare. Si rialzasse dal letto. Ora che tutto questo si è realizzato il prossimo passo è «lottare per consentire a mia figlia di costruirsi un futuro».

Sara (nome di fantasia, per tutelare l’identità della ragazza che è minorenne) è uscita dal coma. Ma la strada sulla via del recupero, dopo quel terribile investimento del fine aprile scorso a Lora, è ancora molto lunga e faticosa «e neppure i medici sanno quanto sarà possibile fare» per consentire a questa ragazzina di 15 anni che amava la scuola, il pattinaggio, la lingua inglese e che sognava di diplomarsi in un college, di potersi rifare una vita normale.

La mamma di Sara ha lunghi capelli biondi mossi e, dietro le lenti degli occhiali, uno sguardo a cui la stanchezza di sette mesi di battaglie non ha tolto dolcezza. Sua figlia stava attraversando la strada sulle strisce pedonali all’incrocio tra via Buozzi e via Oltrecolle per andare a prendere il bus, quando è stata travolta da un’auto guidata da un 36enne comasco. Cadendo ha picchiato la testa ed è andata in coma. Soccorsa è stata portata con l’elicottero all’ospedale di Varese.

«Quando siamo arrivati in ospedale- racconta la madre - i medici ci hanno accolti in una stanzetta. Sulla scrivania c’erano i documenti per la donazione degli organi. Mi hanno detto solo: “Per il momento è viva”. È un dolore indicibile. Io ho ricordo di aver risposto: “Me la salvi, la prego”». In rianimazione Sara è rimasta 33 giorni. «Noi - dice la madre, mentre nella biblioteca della Nostra Famiglia di Bosisio Parini ogni tanto stringe la mano al compagno con cui vive da anni e che le è sempre stata accanto - ci siamo trasferiti a Varese. Abbiamo preso un albergo vicino all’ospedale, perché se avesse aperto gli occhi volevo esserci. Non mi sono mai allontanata».

Dopo 33 giorni Sara, sempre in coma, ha iniziato a respirare autonomamente: «Così ci hanno consigliato di cercare un centro come questo di Bosisio, senza mai darci alcuna idea su quando e se mia figlia sarebbe mai uscita dal coma». Alla Nostra Famiglia «si è aperto un nuovo scenario. Qui viene chiesta la tua presenza e la tua collaborazione per tutto. Per due mesi l’ho accudita, le ho letto libri tutti i giorni, l’ho riempita di musica». Poi, un giorno, Sara ha riaperto gli occhi.

«Ma era ancora in coma. Ci hanno spiegato che ci sono varie fasi di risveglio. Dopo qualche giorno ha iniziato a seguire con lo sguardo le persone, poi a dare le prime risposte». I risvegli dal coma raccontati dal cinema sono quantomai lontani dalla realtà: scordatevi il sorriso riposato, le braccia che si allungano e l’esclamazione «mamma».

«All’inizio faticava a comporre frasi sensate. Anzi, incredibilmente se parlava in inglese la comunicazione aveva un senso, in italiano no. Inoltre sapeva il mio nome ma non che fossi sua madre. Si svegliava a ogni ora della notte, pronunciava il mio nome e mi continuava a chiedere: “Sei mia mamma?”».

Nei prossimi giorni, dopo sei mesi di ricovero - il massimo previsto - Sara dovrà tornare a casa: «A un certo punto il tempo a tua disposizione finisce, vai a casa e resti solo. Proprio mentre mia figlia avrebbe più bisogno di aiuto. Purtroppo i tempi della burocrazia non aiutano. Non sono gli stessi del cuore e di quelli che servono per ritornare a una vita normale» dice ancora la mamma di Sara.

«Sono passati sette mesi dall’incidente e ancora l’inchiesta non è chiusa, quindi l’assicurazione non ha ancora pagato nulla - proprio in questi giorni è stato annunciato un anticipo ndr - così finisci presto le risorse economiche». Oltre al dolore e alla fatica «ti resta l’amaro in bocca perché il sistema non tiene conto dell’aspetto umano: qui c’è una ragazza di 15 anni che deve rifarsi una vita. Ma i punti fermi su cui conti, come cittadino, ovvero giustizia, sanità, assistenza da parte dell’assicurazione, vengono a mancare». Ma una cosa è certa: «Noi non ci arrendiamo».

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