La rissa e i bambini
Bastano due parole

La vergognosa vicenda del torneo di calcio giovanile a Dubino, sospeso per la rissa tra i genitori dei ragazzi delle squadre di Olginate e Mariano, purtroppo è solo l’ennesimo episodio. Altri ce ne saranno finché esisteranno papà e anche mamme incapaci di comprendere che scaricando frustrazioni e ambizioni fallite sui figli fanno loro del male.

In un certo senso, queste persone sono anche in buona fede. Pensano che una partita di calcio sia solo competizione dove l’importante è prevalere, l’avversario un nemico da combattere a colpi di invettive o peggio e l’arbitro un incapace oltretutto in malafede. Chiaro che il calcio ha un ruolo in tutto ciò. Negli altri sport queste degenerazioni sono meno frequenti.

Si sa, del resto, che tutti pensano di conoscere il gioco del pallone. Ma in verità proprio quando, attraverso le occasioni di formazione offerte anche a coloro che si occupano dei più piccoli, comincia l’apprendimento di questo sport, si realizza anche di avere mai capito nulla o quasi prima. Da qui nascono le frequenti incomprensioni tra i genitori e gli istruttori del pallone giovanile. D’altra parte tutti gli italiani si immedesimano nel commissario tecnico della nazionali, figuriamoci se fanno fatica a entrare nei panni di uno sconosciuto dallo scarno o inesistente palmares che allena i piccoli.

Allora come uscire da una situazione pericolosa per i nostri bambini che restano traumatizzati da fattacci come quello di Dubino? Riposta difficile. Perché il problema non è il papà ultras, ma il genitore persona. Individui che non si comportano in maniera corretta ed educata su un campetto di calcio calpestato da bambini di 10 anni, non lo fanno neppure nelle altre circostanze della vita.

Il calcio perciò c’entra fino a un certo punto. Chi ha qualche anno sulle spalle ricorderà il primo episodio di quel capolavoro della commedia all’italiana che è “I mostri” , dove Ugo Tognazzi insegna al figlio come diventare furbo e scaltro a costo di violare ogni regola. E il piccolo, impara tanto bene che, dopo qualche anno, finisce per uccidere il padre. Chiaro che questo è un paradosso della commedia. Però, al di là del finale esagerato, non è così lontano dai fatti della vita. Insomma, educare i genitori da parte delle società sportive e della stessa Figc o dal Csi che pure quasi sempre ci provano, rischia di diventare un esercizio inutile. Si potrebbe allora tentare di riflettere su due parole che hanno piena cittadinanza nell’universo del calcio giovanile. La prima è “pulcini”, la categoria che riguarda i bambini tra gli otto e i dieci/undici anni.

Un “pulcino” per definizione è un esserino che deve essere aiutato a crescere non solo dal punto di vista sportivo e soprattutto protetto fino a che non è in grado di farcela da solo. Questi piccoli calciatori insomma, prima di tutto devono essere tutelati e sostenuti.

La seconda parola è nella sigla della Figc, Federazione italiana “giuoco” calcio. Ci rivela che ciò che fanno i nostri ragazzi, almeno a questi livelli, perché più in alto il termine scolora è solo un passatempo ludico: rincorrere in compagnia un pallone. Ci sono una partita, un risultato, dei vincitori e degli sconfitti. Ma contano in maniera relativa.

L’importante è il sorriso di un bambino al termine di una gara. Ancora di più se perduta.

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